martedì 10 dicembre 2024
Classicamente #6
L’inverno è un periodo umbratile e misterioso, capace di suscitare molteplici stati d’animo. Giunge in silenzio, serpeggiando tra la foschia e la morbida abbondanza del raccolto autunnale; ricopre le pianure con un lenzuolo di ghiaccio e imbianca all’improvviso le foreste dai colori sgargianti che decorano le montagne. Le creature animate cadono una dopo l’altra tra le braccia di Morfeo in un lungo letargo, l’incedere del tempo rallenta e la timida luce mattutina si sostituisce all’oscurità di una notte che sembra interminabile. Non dobbiamo sorprenderci, dunque, se l’atmosfera quiescente dei mesi invernali risultò tra i soggetti più in voga all’inizio dell’Ottocento, soprattutto nell’area mitteleuropea.
La bellezza diafana dei paesaggi innevati, l’aura sacrale che avvolge la natura addormentata, la capacità di percepirsi infinitamente piccoli per immergersi nella dimensione infinitamente grande dell’universo sono alcuni elementi che incarnano la quintessenza del romanticismo. Il desiderio di trascendere l’esperienza terrena si manifesta attraverso la Streben, uno sforzo sublime teso al superamento di qualsiasi vincolo, sia esso di carattere materiale o spirituale. Questo anelito si lega al concetto della Sehnsucht, il doloroso struggimento interiore che nasce dalla consapevolezza dell’irraggiungibilità del proprio desiderio.
Prima di addentrarci nell’arte musicale, proseguiamo la nostra disamina commentando il Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, l’epitome della pittura romantica tedesca. La tela ritrae un uomo errabondo che si staglia in controluce su un precipizio roccioso, dando la schiena all’osservatore (secondo l’espediente compositivo della Rückenfigur). L’avventuriero è collocato in una posizione che gli permette di contemplare estaticamente il panorama dinanzi a lui: una vallata dal fascino primordiale circondata da una coltre di nebbia che si espande in modo indefinito, mescolandosi con l’orizzonte e diventando indistinguibile dal cielo nuvoloso sovrastante.
L’archetipo del viaggiatore romito alla disperata ricerca di una destinazione (Wanderer), rappresenta un motivo centrale anche nella musica. Il viandante di Friedrich alberga spesso nelle partiture di Franz Schubert, che ha consacrato questa figura in due occasioni: nella Wanderer Fantasie per pianoforte in do maggiore D.760 e nel ciclo liederistico Die Winterreise (Il viaggio d’inverno), terminato un anno prima della sua scomparsa. Si intende per Lied (letteralmente “canzone” o “romanza”) un brano vocale con testo strofico accompagnato dal pianoforte che conobbe la massima fioritura nei primi decenni dell’Ottocento. Sebbene l’estro creativo schubertiano abbia travolto ogni genere – dalla produzione pianistica alla musica da camera, dalle sinfonie al repertorio sacro – i Lieder furono il campo d’azione privilegiato nel quale il compositore viennese raggiunse l’apice della maturità stilistica.
Schubert scrisse oltre seicento Lieder nell’arco della sua breve carriera, esplorando le incommensurabili potenzialità offerte dall’incontro tra il verso e la melodia. Winterreise trasfigura in musica le poesie che Wilhelm Müller aveva pubblicato nel 1823 sulle riviste Urania e Deutsche Blätter, entrambe invise alle autorità prussiane. Il ciclo è articolato in due volumi da dodici Lieder ciascuno e si fonda su una trama assai ridotta, ma intrisa di pessimismo cosmico: un innamorato deluso, affine a un eroe byroniano e al Werther di Goethe, lascia la propria dimora e vaga senza meta in un desolato paesaggio invernale. L’itinerario del Wanderer diventa così un febbrile e candido tendere verso l’abisso, un viaggio metaforico alla ricerca del senso ultimo dell’esistenza.
Schubert esalta la complessità dei sentimenti umani rapportandoli alla sua vicenda biografica: è come se Winterreise fosse il testamento redatto dall’introverso e malinconico Franz nell’attesa ineludibile della morte, mentre si allontana da un mondo che non l’ha compreso e dal quale vuole ripararsi, appagato solo dall’affetto degli amici più sinceri. Il compositore e il suo alter ego invocano la Nera Mietitrice, ma questa li schernisce costantemente rifiutandosi di apparire per porre fine alle rispettive sofferenze.
Il linguaggio musicale di Schubert è improntato a un’essenzialità rarefatta e tagliente, destinata a non perdersi nemmeno nelle espansioni liriche delle pagine indimenticabili per la purezza canora e il ripiegamento intimistico. Gli effetti strumentali si caricano di significati preziosi: la cadenza ritmica del pianoforte scandisce il passo del forestiero e sottolinea in modo straordinariamente efficace le emozioni che si susseguono nel testo di Müller, veicolando il ricco immaginario del poeta. Sentieri di versi rischiarati dall’inanellarsi di melodie a dir poco incantevoli, nelle quali il timbro cristallino della tastiera e la voce tenorile intrattengono un dialogo dando l’impressione di completarsi a vicenda.
Le irrequiete figure sincopate di Rückblick alludono allo sguardo retrospettivo del protagonista, che rimpiange il tempo trascorso nella città dove “alle ridenti finestre cantavano a gara l’allodola e l’usignolo”. Il tremolio drammatico di Einsamkeit paragona la solitudine del vagabondo all’attimo che precede l’infuriare della tempesta, quando il gelido sibilio del vento lambisce la cima degli abeti. I grappoli di note brillanti in Irrlicht descrivono il prodigioso fenomeno del fuoco fatuo, il cui “inganno variopinto” attira il viandante distogliendolo dal cammino. Gli accenti acuti in Der Stürmische Morgen amplificano la potenza distruttiva della bufera, impegnata a strappare la veste grigia del cielo fino a ridurla in brandelli.
L’ultimo Lied, Der Leiermann (Il suonatore di ghironda) è forse il brano più desolato e scabro mai concepito da Schubert. Nella cornice di struggente solitudine in cui si svolge la peregrinazione del viandante si aggiunge l’unica presenza umana del Viaggio d’inverno: un musicista ambulante con al seguito un organetto che viene ignorato da tutti, nel cui piattino nessuno fa cadere monete, contro il quale i cani ringhiano furiosamente. È lui il Doppelgänger dell’amato respinto, il sosia della tradizione popolare che preannuncia l’arrivo di circostanze sfavorevoli. Irretito dal gelo, il viandante chiede al suonatore: “Tu e io siamo la stessa persona?” e gli propone di affiancare le sue note: “Se venissi con te, accompagneresti i miei canti con il tuo organetto?”. Gli echi dell’immagine sonora si dissolvono nel vuoto assoluto e sembrano risolversi nella completa obliterazione di ogni categoria di spazio e tempo.
Proponiamo l’ascolto del Lied introduttivo della raccolta, Gute Nacht (Buonanotte), eseguito dal tenore Peter Schreier e dal pianista Christoph Eschenbach. Il viandante geme per il rifiuto della fanciulla alla quale era promesso e si limita a un congedo notturno presso la porta dell’amata, scrivendo sulla sua soglia: Gute Nacht, buonanotte. Di seguito il testo del Lied tradotto in italiano. Buon ascolto.
Come un estraneo sono comparso,
come un estraneo me ne vado.
Maggio mi è stato benevolo,
con qualche mazzo fiorito.
La fanciulla parlava d’amore,
la madre addirittura di matrimonio;
ed ora il mondo è tanto triste,
la strada è sepolta nella neve.
Per questo viaggio non m’è dato
di scegliere il tempo,
da me devo trovare la via
in quest’oscurità.
Mi accompagna
l’ombra della luna,
e sulla bianca terra
cerco la traccia di bestie selvagge.
Che cosa mi trattiene,
da quando mi hanno cacciato?
Guaite, cani randagi,
davanti alla casa del padrone!
L’amore ama girovagare -
così l’ha fatto Dio -
dall’uno all’altro.
Amore mio, buona notte!
(*) Leggi Classicamente 1#, #2, #3, #4, #5
di Lorenzo Cianti