lunedì 2 dicembre 2024
Classicamente #5
Ciascuno di noi ha osservato almeno una volta il ritratto di Ludwig van Beethoven. Il celebre dipinto di Joseph Karl Stieler raffigura il Maestro di Bonn intorno ai cinquant’anni mettendone in risalto il viso aggrottato, la chioma ribelle e lo sguardo severamente orientato verso l’alto, quasi come se volesse cercare un contatto con la trascendenza divina mentre scrive la Missa Solemnis. Ci viene spontaneo associare quest’immagine al titanismo che pervade le sue pagine sinfoniche e all’audacia con cui ha rivoluzionato per sempre generi, forme e canoni compositivi. Ma esiste anche un Beethoven ermetico e dimesso, molto lontano dall’immaginario che lo ha reso universalmente noto come un musicista indomabile e desideroso di prevalere sulle sfide della sorte.
Accanto alle monumentali sonate per pianoforte beethoveniane, infatti, trapelano delle composizioni che potremmo considerare “anomale”: le bagatelle. È facile intuire la loro essenza, se guardiamo da vicino la natura semantica del termine che le denota. Si intende per bagatella una cosa insignificante, di poco conto, che non desta il nostro interesse. Beethoven sembra aver riesumato in maniera inconscia l’idea catulliana delle nugae, i divertissement che enucleano l’amore del poeta veronese per Lesbia e si legano alle esperienze della sua quotidianità. Ragionando in termini musicali, la bagatella è un brano pianistico che si distingue per la concisione, la brevitas (un elemento in comune con la lirica alessandrina incensata da Catullo), l’uso di melodie semplici e accattivanti, il carattere talvolta leggero, talvolta nostalgico.
La parvenza disinvolta e giocosa delle bagatelle – simili a schizzi preparatori densi d’ingegno – ha pregiudicato la loro fama, al punto tale che alcuni studiosi le hanno relegate ingenerosamente nella categoria delle “opere minori”. Era inevitabile che queste miniature per tastiera fossero messe in ombra dalle architetture magnifiche dei concerti, delle ouverture e delle sinfonie. Facciamo un esempio per capire le disparità tra le creazioni del repertorio beethoveniano. Molti ricordano che quest’anno si celebra il bicentenario della Nona sinfonia, intitolata Corale, ma solo un drappello di esperti è a conoscenza del fatto che duecento anni fa Beethoven concludeva la raccolta delle Bagatelle op. 126, il suo ultimo ciclo di composizioni pianistiche complete a noi giunte.
Il compositore tedesco ha sempre nutrito una passione per questa forma musicale sui generis. Alcuni spunti abbozzati da un Beethoven adolescente costituiscono la base del futuro ciclo delle Bagatelle op. 33, risalenti al 1801-1802 e pubblicate l’anno seguente dalla casa editrice viennese Bureau des arts et d’industrie. La collezione giovanile include sette brani piacevoli all’ascolto che si pongono in un rapporto di continuità con lo stile classico di Mozart e Haydn, ma mostrano già le avvisaglie dell’inclinazione sperimentale che Beethoven avrebbe approfondito durante la fase della maturità.
La seconda raccolta (Bagatelle op. 119) consta della revisione di vari motivi concepiti nello stesso periodo dell’op. 33, ai quali si aggiungono cinque brani composti a ridosso del 1820. Le undici bagatelle sono finemente elaborate e alternano una cantabilità di derivazione operistica a passaggi inquieti e vitrei, che si concludono in modo turbinoso. Beethoven si incamminava inesorabilmente verso l’epilogo della sua esistenza: l’ipoacusia diventava ogni giorno più lancinante e accentuava uno stato di sofferenza emotiva impossibile da nascondere. Ma nulla avrebbe impedito al geniale musicista di troncare la sua passione per la musica, persino nei momenti di massima angoscia che stava vivendo.
Le Bagatelle op. 126 furono composte quando Beethoven aveva perso integralmente l’udito (1823-1824). Questi brani enigmatici rivelano la spasmodica ricerca di un linguaggio originale, culminata con l’ideazione della Grosse Fugue op. 133 nel 1826. La struttura ciclica della raccolta è suggerita dalla scelta delle tonalità (in intervalli di terza maggiore discendente, come nella Terza sinfonia, Eroica, e nel Quartetto per archi n. 12) e dai contrasti ritmici tra le bagatelle.
L’Andante con moto iniziale in sol maggiore dischiude un tema dolce e amorevole che si contrappone alla frenesia del successivo Allegro in sol minore, nel quale è addirittura possibile scorgere un paio di battute prive di tonalità; questo espediente avveniristico sarà replicato dall’anziano Liszt nella sua Bagatelle sans tonalité. L’Andante, Cantabile e Grazioso in mi bemolle maggiore ricorda la melodia estatica e contemplativa del movimento centrale della Sonata Hammerklavier. Il Presto in si minore oscilla tra l’afflato dionisiaco e l’equilibrio apollineo, anticipando la scrittura brillante delle Romanze senza parole di Mendelssohn. Il Quasi allegretto in sol maggiore dipinge un quadro idilliaco e distoglie la mente dall’incedere della malattia con una temporanea, seppur effimera consolazione. La sesta bagatella sfoggia un Presto affine all’apertura del finale della Nona sinfonia, per poi risolversi in un Andante amabile e con moto che viene interrotto dal ritorno del caotico vortice iniziale.
Il genio di Beethoven risiede nella capacità di unire la possenza drammatica all’intimità degli affetti, l’impeto burrascoso alla quiete che impreziosisce le bagatelle. L’insigne maestro Joseph Haydn comprese fin da subito l’enorme potenziale del suo allievo e nel 1793 gli confessò: “Avete molto talento, un’inesauribile ispirazione e pensieri che nessuno ha mai avuto. Voi mi sembrate un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime”.
Proponiamo la Bagatella op. 119 n. 1 in sol minore eseguita da Paul Lewis. Nato nel 1972, il pianista britannico è considerato uno dei musicisti più importanti della sua generazione. Illustre interprete di Beethoven e Schubert, ha ricevuto unanimemente il plauso della critica grazie alla piena padronanza dei mezzi tecnici e alle singolari doti espressive. Buon ascolto.
(*) Leggi Classicamente 1#, #2, #3, #4
di Lorenzo Cianti