Il corpo-soggetto: un paradigma liberale/25

martedì 24 settembre 2024


Idealtipo del corpo-oggetto

Quanto abbiamo descritto sinora, non si può quindi certo dire, al contrario, per la persona che è – per motivi che qui non andremo ad indagare a fondo – ferma, abitualmente, ad una percezione di sé dominata dall’avere-un-corpo, un corpo che resta, sia pure senza rendersene conto, e a tratti, inconsapevole del proprio sé e da quali reali motivazioni esso sia mosso.

Facciamo, nuovamente, alcune premesse doverose:

Chi ha subito una cosiddetta “fissazione” – che, in psicanalisi, ha il significato di un consolidamento “non dinamico” di una componente del carattere di un corpo-soggetto – e non cessa di percepirsi oggetto, non è in grado di far partire autonomamente alcun processo di trasformazione, di cambiamento, di viaggio. Può essere cosciente o meno di ciò. La sua è, dunque e a ben vedere, una condizione statica, non evolutiva, nel quale manca la progettualità, la proiezione verso il futuro.                            

Il corpo-oggetto non è mai un corpo completamente auto-determinato, ma è, almeno in parte, eterodiretto, spesso senza che di ciò possa avere piena consapevolezza.

La coscienza-di (concetto su cui ci siamo soffermati quando abbiamo spiegato l’intenzionalità della fenomenologia), espressa da un corpo-oggetto è una coscienza che si limita ad esserlo solo per altri oggetti. La relazione che si instaura è, di fatto – nella percezione del corpo-oggetto – una relazione tra oggetti. Non vi può entrare l’empatia, lo scambio di emozioni, il sentirsi, e la capacità di scambiarsi idealmente il ruolo, cercando di “percepirsi” nell’altro, nella sua storia, nelle dimensioni e nelle caratteristiche peculiarmente umane dell’altro.

È una relazione priva di calore, priva di energie vitali, di vibrazioni emotive. È esattamente ciò che accade a ognuno di noi, quando non siamo interessati a qualcuno: automaticamente, lo reifichiamo. Lo mettiamo ai margini del nostro “campo”. Lo emarginiamo fuori dalla portata delle nostre azioni e reazioni. Instauriamo una relazione fredda, con una cosa, con un oggetto che ci dà noia, o fastidio. Dove c’è antipatia vi è questa reificazione dell’altro, a cui non diamo modo di accedere al nostro sé.

Tuttavia, un corpo-oggetto prova senz’altro dei bisogni, un senso di privazione, uno stimolo e una sensazione specifica. Fame, sete, senso di pieno, stimoli sessuali e stimoli intestinali, paura, rabbia, terrore. La sua coscienza non riesce ad affacciarsi al desiderio, alla situazione erotica, che richiede empatia e complicità.

Un corpo-oggetto è pieno di risentimento (probabilmente per la non realizzazione inconscia del proprio percorso soggettivo e identitario), di terrore (per il suo sentirsi esposto con il corpo all’appropriazione altrui, che lui non riesce a fronteggiare con la pienezza della propria identità), di nostalgia e rimpianto (per un’esistenza che non è mai stata condotta nel pieno della propria soggettività, e quindi incapace di liberare tutte le proprie potenzialità). 

Dunque, in quanto corpo-oggetto, i fini del proprio corpo cambiano, non seguono un “progetto” autonomo, ma perseguono il progetto di altri, al quale sentono di potersi aggrappare, appoggiare, oppure non perseguono alcun progetto. È la tipica esperienza dei figli, da quando sono nella culla fino a che non avviano un processo di appropriazione della propria identità. Hanno, magari la sviluppassero, una conflittualità con i loro genitori, eppure i genitori “gli sono necessari”.

Come abbiamo detto, noi intervalliamo momenti nei quali siamo-il-corpo, ad altri nei quali prevale la percezione di avere-un-corpo, un corpo-oggetto, anonimo, non definito, dal quale la nostra coscienza si distacca. Un corpo che può venire (per propria volontà o meno) incanalato in comportamenti che sappiamo essere accettati meglio dalla società, anche a discapito di quel che, momento dopo momento, noi vogliamo e desideriamo.

Un corpo-oggetto, assai più di chi prevalentemente ha coscienza di essere-il-corpo, è preda di un proprio codice morale, di un insieme di regole di condotta sovrimposte culturalmente. Questo gli è utile per dare al proprio corpo una certezza e una coerenza altrimenti assenti, o evanescenti. Un corpo che non vibra di vita propria, che non è percorso fino in fondo dall’essenza vitale, è soggetto a codici religiosi, a codici comportamentali, a morali specifiche, all’adeguamento a norme sociali, scritte o meno, che lo rendono più accettabile, innanzi tutto a se stesso, e poi al proprio contesto familiare, comunitario e sociale.

Come corollario, si guardi alla nostra società fondata sull’etica ebraico-cristiana, occidentale, basata sui valori di cittadinanza greco-romani, e quindi su tutta una serie di codici scritti e non, fatti di etica, di morale, di etichette, di prescrizioni. Potremmo dire che più ci si percepisce prevalentemente corpi-oggetto, e più l’uso di norme di condotta che risultano essere esterne ad una soggettività corporea, si diffonde e viene ritenuto essenziale. È una dimensione – questa – nella quale entra in gioco un forte conflitto interiore. Il corpo-oggetto percepisce costantemente l’intrusione di quelle che sono istanze vitali proprie del corpo-soggetto e ingaggia una battaglia con ciò che del corpo-soggetto ritiene meno accettabile: l’inclinazione al piacere, all’indulgenza delle gioie della gola, del gioco, dell’erotismo.

Il corpo-oggetto – in idealtipo – è carico di confusione, non sa gestire bene gli stimoli naturali, vitali, biologici, li vive con senso di colpa e con difficoltà, non si è ancora potuto districare nell’armonizzazione della parte naturale e vitale e la sua relazione con gli altri, con l’altro sesso, o con chi lo carica di emozioni e di sollecitazioni fisiche ed affettive.

Va aggiunto che questo è esattamente l’opposto di quel che avviene per il corpo-soggetto, il quale percepisce come una insana invasione, quella di chi sbandiera dei codici di condotta, morali o religiosi, civili o etici, a impedire il soddisfacimento delle proprie naturali istanze e delle proprie spontanee domande vitali.

Il corpo-oggetto nega di possedere istanze strettamente essenziali, si cela dietro un forte moralismo e una forte abnegazione, in una negazione quasi masochistica di quanto invece potrebbe renderlo felice. Come dice Fromm è “in fuga dalla libertà”. Si inclina così alla mancanza di autenticità e di schiettezza. Così si nega che l’essere-il-corpo includa tutta una serie di comportamenti che vengono socialmente censurati. Si costruiscono le premesse dell’ipocrisia, che sono alla base del perbenismo, del fariseismo, in quanto perseguimento ossessivo delle regole stabilite altrove, a scapito delle proprie propensioni più intime, e delle regole di cortesia, termine che Norbert Elias rivendicherebbe come frutto della prosecuzione della “società di corte” francese da lui studiata e dipinta.

La prevalenza in società dell’avere-un-corpo conduce a far rientrare dalla finestra ciò che è stato estromesso dalla porta. Si noti – e lo vedremo più avanti – come l’immagine della donna-oggetto, se censurata ufficialmente dalle culture in voga, continui più che negli anni ‘60 a contrassegnare quest’epoca: l’epoca dei nuovi social (Instagram, Pinterest, Onlyfans, Chat gpt) nei quali il protagonista è proprio il corpo-oggetto erotico e sessuale, esposto e oramai purtroppo non più in grado di relazionarsi, in quanto corpo-soggetto, con il mondo reale, ma situato ormai in un mondo fittizio e virtuale. Ma, in particolare, il corpo-oggetto è soggetto dell’emergenza permanente nella quale il Potere ha ormai deciso di precipitare le società che controlla.

Ma questo lo tratterremo meglio più avanti.

Ora possiamo dire che un corpo oggetto, schiavo e gregario, cercherà, come fa il corpo soggetto, di trovare conforto in una cerchia sociale da costruire o consolidare ma lo farà non attraverso lo sviluppo di una propria convinzione individuale che riscontrerà anche negli altri, ma si collegherà ai propri simili attraverso una serie di luoghi comuni e conclusioni tradotte in locuzioni prefabbricate dal potere: #iorestoacasa, #iomivaccino. Lo farà con l’intento sottile di verificare che nessuno metta in crisi la narrativa da “prigioniero dell’emergenza”. Lo farà per essere certo che la sua scelta di mettersi da solo le manette sia condivisa da tutti, e non sia riservata solo a sé stesso. E lo farà, come vedremo, anche per ottenere dei premi, dei crediti sociali.

Bisognerebbe aggiungere, a chiarimento di quanto detto finora che, quando un certo percorso di consapevolezza non si sia compiuto, e si finisce con il ripetere solo quanto ascoltato altrove, poiché non si ha avuto la possibilità di cogliere il senso e di affermare con cognizione di causa la propria posizione, un corpo, in età contemporanea, finisce con il tacere a sé stesso e al mondo il fatto che la propria sia una condizione di corpo-oggetto, eterodiretto e servile. È, naturalmente, obbligato a operare questa negazione del suo vero stato per non perdere la propria dignità, ai propri occhi e agli occhi degli altri.

In quest’epoca nel quale l’apparire ormai equivale ad essere, il corpo oggetto è obbligato ad adottare questo travestimento. È un corpo-soggetto mancato. È annodato comunque al valore del soggettivismo e della responsabilità, che gli è stato insegnato, e a un certo individualismo, in modo più o meno marcato, in famiglia o nelle scuole, ma è un valore che però egli non riesce ad assumere in sé, e, d’altro canto, non ammetterebbe mai che la propria posizione sia assimilabile a quella dello schiavo. Dunque, per lui è preferibile apparire falso e menzognero piuttosto che perdere la propria autostima o il supporto e la stima di chi, o di cosa, lo dirige dall’esterno.

In altre parole, percepirsi sudditi o schiavi è una condizione degradante, che si dovrà negare a tutti i costi per non provare la vergogna dell’essere indegni di quella posizione, che si potrebbe ammettere ed acquisire con consapevolezza, soltanto se propedeutica ad una attività di liberazione. La via di fuga per il corpo-oggetto è solo il “fingersi soggetto” e mostrarsi entusiasta anche di idee che si rivolgono contro il proprio interesse, pur di non sentirsi un soggetto passivo o inerte. Difficilmente un corpo oggetto si identificherebbe come un quasi-soggetto, in modo da lavorare alacremente per affrancarsi dalla sua condizione di oggetto.

Per comprendere questo passaggio si può fare riferimento a quella esperienza trionfante, tutta italiana, legata alla incredibile vittoria ottenuta dal gruppo 5Stelle alle politiche del 2018. A certi personaggi, la cui inconsistenza politica e la cui insipienza era evidente anche a se stessi, si può attribuire certamente il connotato della prevalenza in loro del corpo-oggetto: Fico, Toninelli, Casalino, Conte, Di Maio, Azzolina. Tutti avevano un tratto di “non adeguatezza”, di scarsa competenza, di impressione di eterodirezione, qualità politiche raffazzonate, incapacità di vedere cosa stava accadendo.

In un mondo ideale le competenze di un corpo-oggetto non consentono a chi-lo-ha di assumere ruoli di gestione della vita degli altri, senza che ne venga un danno per tutti, per se stessi e per gli altri. Nel momento in cui un individuo percepisce il proprio corpo come una cosa da portare di qua e di là, da proteggere dalla paura e dal dubbio, da conservare dallo sforzo eccessivo, da coprire o da scoprire a seconda della stagione o delle circostanze, come si potrebbe fare con la capote della propria auto, non si vede come l’avere-un-corpo, anonimamente posseduto, possa associarsi a una piena consapevolezza delle proprie azioni ed attività, fino al punto di assumere la guida di un gruppo di persone, o, tantomeno avere delle alte responsabilità pubbliche.

Amor proprio e credito sociale

Il correlato dell’amor proprio è, per il corpo oggetto, l’obbedienza al Potere, e il conseguente premio: il credito sociale. La mancanza di amor proprio lascia nel corpo oggetto, soggetto mancato, un vuoto da colmare. La propria incapacità nel sentirsi individui realizzati viene compensata dall’appartenenza sociale e dal conformismo alle norme, giuste o sbagliate che siano. Nel corpo oggetto manca un centro, un motore, una molla, un generatore di attività: viene trovato nell’aderenza alle regole, nell’essere più realisti del re, nel sentirsi parte di un disegno. Il vuoto esistenziale dei corpi-oggetto è riempito dall’obbedienza, dalla denuncia e dalla delazione verso i disobbedienti, gli insubordinati (direbbe Andrè Gide).

Il potere conosce bene tutto questo, quindi, appena può, distribuisce premi e bonus. La Cina ha adottato ormai da diverso tempo la tessera del credito sociale. Il comportamento socialmente virtuoso – sempre correlato a reprimere la devianza – viene premiato con dei punti. Ma i punti virano in concessioni, e non, ad esempio, in sconti fiscali speciali. Chi ha punti ottiene ciò che ad altri viene impedito. Una patente di guida, per esempio, o la possibilità di recarsi all’estero.

Il credito sociale altro non è che qualche grammo di pane raffermo in più da mettere nella zuppa che ottenevano i kapò di Auschwitz, invece, ad esempio, di essere un comportamento che fa ottenere dei sensibili vantaggi rispetto al sistema di costrizione fiscale nel quale tutti i cittadini del mondo versano. Un sistema per il quale fare attività di volontariato settimanale per gli anziani si potrebbe tradurre in punti di Irpef in meno da versare. Ma il corpo oggetto si accontenta. Nell’universo di Tizio, poter fare quello che a Caio è proibito, perché è meno osservante delle regole vaccinali, sanitarie e stradali, è un successo, anche se quel che ottiene dovrebbe essere un diritto naturale, come una libertà di residenza.

(*) Leggi i capitoli precedenti: 12, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 1516171819, 202122, 23, 24


di Andrea Andy Indie De Angelis