giovedì 1 febbraio 2024
La frantumazione del senso comune
e la decostruzione del buonsenso
Da sempre, in ogni comunità, o, generalmente, in ciascuna società caratterizzata da una certa omogeneità e coesione, esiste un patrimonio collettivo di conoscenza pratica e un bagaglio sociale di valori e principi che dà senso a tutte le cose.
È un senso che parte – come del resto qualunque idea o pensiero che viene poi trasferito alla intenzionalità della Coscienza – dalle percezioni del nostro corpo.
Occorre, per districarsi in quest’epoca, nella quale il Potere fa ricorso ad ogni stratagemma cognitivo per truccare le carte in tavola, comprendere delle differenze in ciò che fornisce un senso alle cose.
Occorre partire da qualcosa che viene chiamato “senso comune”, distinto dal “senso pratico” che appartiene invece a ciascun individuo. A metà strada tra il senso individuale e la condivisione pubblica, il senso comune, c’è, appunto il buon senso (o buonsenso).
La differenza sostanziale tra questi concetti è che il buonsenso punta alla correttezza, alla verità, a perseguire il giusto, a non farsi ingannare da ciò che è perfettamente legale, o comunemente inteso, ma magari profondamente ingiusto, inefficiente e volto a produrre divisione, ineguaglianza, conflitto. Il senso comune punta invece solo al pensiero di maggioranza spesso privo di analisi, e non a caso spesso in conflitto con la realtà delle cose. Il primo si afferma nell’ottica di portare dei risultati positivi per quanta più gente possibile, a creare armonia, il secondo no.
Non è una questione facile, poiché le basi che pone il buon senso possono confliggere e incontrare opposizione e conflitto con i presupposti stabiliti dal senso comune. Il presupposto del buon senso è la corretta visione di ciò che avviene in un determinato contesto. “Il buonsenso è la capacità di vedere le cose come effettivamente sono, e farle come dovrebbero essere fatte”, ricorda lo scrittore Josh Billings.
Quando c’è armonia e coesione in una comunità, di solito, senso comune e buon senso si allineano, si avvicinano, è difficile distinguere l’uno dall’altro.
Non vi è dubbio che esiste, nel mondo occidentale, una offensiva che punta alla destabilizzazione e alla decostruzione del “senso comune”, per allontanarlo progressivamente dal buon senso. Non vi è settore dell’umano nel quale non si cerca di stroncare dei presupposti antichi che solo l’uso ancora diffuso di un buonsenso diffuso riesce a far mantenere vivi e validi nei rapporti tra le persone.
Quando senso comune e buon senso si allontanano significa che si è entrati in un’epoca insana. E se il comunismo sovietico e cinese, l’instaurazione della dittatura di Pol Pot o gli anni del nazismo e della persecuzione ebraica, avevano il connotato di un qualcosa di ristretto geograficamente e politicamente ben definito, l’attuale “decostruzione del buon senso” è transnazionale, sta avvenendo in Europa, in Australia, in Canada, in Nuova Zelanda, entro la culla democratica d’occidente.
Del resto, in quest’epoca si cerca di fare ancor peggio che decostruire il senso comune: si cerca di finire con il contaminare proprio il buon senso, cercando di intervenire pesantemente nell’educazione delle nuove generazioni, per scompaginare i valori e l’etica individuale, dei quali molti principi sono elementi vitali per la costruzione del buon senso, per come lo conosciamo.
Come sostiene Pierre Bourdieu – il sociologo della ragion pratica, dell’habitus corporeo e della distinzione – il senso comune nel suo sedimentarsi e consolidarsi all’interno di una comunità si dota di strumenti sempre nuovi via via che tale comunità procede da un sapere fondato sulla superstizione e su dogmi religiosi a pratiche che utilizzano concetti scientifici, specifiche conoscenze tecniche, educazione, cultura e affinamento del gusto.
Tutte queste “pratiche” hanno a che fare con l’habitus corporeo e la percezione corporea, o le tecniche del corpo.
Secondo Karl Weick, il ricercatore che ha applicato il senso alle organizzazioni e alle istituzioni, e che ha teorizzato che il cosiddetto “sensemaking” – l’attribuire il senso – sia un processo fondato proprio sulla costruzione dell’identità, retrospettivo, istitutivo di ambienti sensati, sociale, continuo, centrato su informazioni selezionate; guidato dalla plausibilità più che dall’accuratezza. Weick ha indagato il sensemaking conferendogli uno statuto per il management. Senza “conferire senso”, un manager non può dar vita a cambiamenti sostanziali, all’interno di una organizzazione, per renderla più efficiente, più produttiva, migliore.
Abbiamo già visto come il “senso comune” sanitario e medico sia stato stravolto durante la pandemia. Rinchiudere le persone in casa, o chiudere le loro bocche dietro una mascherina non ha migliorato l’andamento del contagio, non ha stroncato affatto il virus del Covid, non ha reso i sistemi immunitari più forti e non ha evitato affatto le vittime del virus.
Aver prescritto tachipirina e vigile attesa ha intasato le terapie intensive, ha causato migliaia di morti. L’uso diffuso delle mascherine ha peggiorato la qualità della vita di milioni di persone, provocando malattie della bocca e dell’apparato respiratorio. I vaccini, se non hanno ucciso di “nessuna correlazione” (ovvero di effetti avversi e di malori improvvisi), hanno se non altro debilitato il sistema immunitario del Corpo della maggioranza della popolazione.
Questa frantumazione del senso non a caso coincide con il fenomeno della “cancel culture”, che intende colpire le radici tradizionali del sapere culturale dei popoli occidentali. Dante, Shakespeare, i grandi classici – per non parlare dei grandi russi – vengono minacciati.
Ma che dire infatti degli aspetti strettamente culturali? Ripercorriamo il nostro corpo, e vediamo come stia subendo un attacco durissimo su tutti i fronti. Partiamo dall’alto del corpo, e, dai suoi sensi: le orecchie, l’udito.
Quale musica è oggi in voga? Che valore culturale ha? La musica prevalente – specie fra i giovani – risulta essere una evoluzione rispetto al Pop degli anni ‘60, ‘70, ‘80, ‘90? O non è forse una chiara involuzione?
Le canzoni pop in voga oggi hanno le seguenti caratteristiche:
– Hanno una musica piatta, che gioca solo sulla possibilità monotonale, e su un cambio di tono durante il pezzo.
– Sono artificiali: si servono di auto Tunes e di strumentazione elettronica. Si ritracciano brani già esistenti.
– Hanno parole prosaiche. I testi di oggi sono invasi dal parlato e dal gergale, non vi è alcuna elaborazione poetica personale.
La percezione che, in genere, si ha di esse è che siano frutto di poco lavoro e di una ricerca superficiale. Non mostrano alcun genio musicale, ma percorrono solo il tentativo di risultare anomale, strane, originali, con il ricorso all’artificialità.
Sono trasmesse secondo decisioni avulse dal mercato, dalle radio e dalle televisioni, secondo i gusti di un pugno di ignoranti “influencers” – un tempo si diceva “opinion leaders” – di oggi.
Nel frattempo, le orchestre di musica vera – classica, jazz, lirica – riducono i loro elementi, lo studio della musica classica si restringe sempre più, non vi è più alcuna attrattiva nel percorrere le carriere di musicista o di direttore d’orchestra. Gli spazi della bella musica si riducono, ovunque.
Nel senso comune, la sensibilità musicale si sta completamente perdendo. Se si pensa che nell’800 in Italia l’opera lirica era appannaggio di tutte le classi sociali, si riesce a comprendere la chiara involuzione del senso in campo musicale.
Passiamo agli occhi, alla vista, alla visione.
Nell’opera “L’’occhio e lo spirito”, Merleau Ponty ci racconta il corpo e l’opera d’arte. La visione è un pensiero condizionato, pensiero che nasce “in occasione” di ciò che accade nel corpo, dalla percezione del corpo si è “stimolati” ad avere una visione, a pensare, a un significato, a un senso. Non si sceglie di essere o di non essere, di pensare questo o quello. È un Merleau Ponty spirituale quello che sostiene che il corpo è il luogo che lʼanima chiama “suo”, il luogo che l’anima abita. Lʼanima pensa secondo il corpo, non secondo sé stessa.
Il corpo è per lʼanima lo spazio natio e la matrice di ogni altro spazio esistente.
Lo spazio non è infatti più quello di cui parla la Diottrica, un reticolato di relazioni tra gli oggetti, ma è uno spazio considerato a partire da me come punto di inizio o di riferimento, o grado zero della spazialità.
E io non vedo lo spazio secondo il suo involucro esteriore, lo vivo dal didentro, ci sono inglobato. È questa la filosofia che anima il pittore, o il regista, non quando egli esprime le sue opinioni al mondo, ma proprio nell’istante in cui la sua visione si fa gesto, e, come dirà Cézanne, egli “pensa in pittura”.
La scienza per Merleau Ponty manipola le cose e “rinuncia ad abitarle”. Si confronta solo ogni tanto con il mondo effettuale. È un pensiero attivo, ingegnoso, disinvolto, che tratta ogni essere come oggetto in generale. La scienza classica aveva l’obiettivo di raggiungere il mondo con le sue costruzioni, si riteneva obbligata a cercare per le sue operazioni un fondamento trascendentale. La scienza moderna invece crea una pratica costruttiva che si crede autonoma, e che diventa costruttivismo. In pratica una sorta di pianificazione sul piano strutturale e culturale, gestito da chi detiene il Potere. Per i detentori della scienza di oggi e per i suoi interpreti contemporanei, pensare vuol dire “operare per trasformare l’esistente”.
La bellezza oggi è considerata strumentale a questa trasformazione. Un’opera deve necessariamente mandare un messaggio costruttivista. Se vogliamo: di propaganda. Altrimenti non si spiega come sia possibile che ai concorsi di bellezza femminile vengano ammessi soggetti trans, che sono perfettamente riconoscibili come tali, nel quale il mento è pronunciato, la mascella è volitiva, e la bellezza è completamente falsa, fosse anche quella maschile.
Per comprendere molte delle cose che oggi ci circondano occorre introdurre il tema della falsità. Del resto, l’età contemporanea è stata avviata nel trionfo del kitsch, che il dizionario Treccani riconosce come un fenomeno che connota il “non essere sé stessi, l’assumere atteggiamenti o comportamenti innaturali, non autentici, vestire in modo vistosamente eccentrico e di dubbio gusto, per seguire una moda”. L’odierna arte visiva, con le sue installazioni, è una sequela di oggetti tipicamente kitsch, nei quali il significato strabocca, opprime il significante, e la simbologia supera l’opera d’arte in sé e finisce con il denotarla. L’arte oramai è un’offesa al buon senso e anche al buon gusto.
Veniamo così, ora, al senso del gusto, all’alimentazione, al cibo. È evidente che esiste un attacco alla buona tavola, al buon gusto, alla dieta mediterranea, in nome di qualcosa di strumentale. In Pianura Padana – dichiara l’Unione Europea – non si potrà coltivare il grano tutti gli anni, ma solo ad anni alterni. La dieta mediterranea che è da sempre considerata la più sana e la migliore per la nostra salute è addirittura messa a rischio. Come anche la possibilità che gli italiani siano autonomi nella produzione del pane e della pasta.
Contemporaneamente, si sdoganano le farine di insetti. Ciò che urta e disgusta la comune sensibilità dell’uomo occidentale viene propalato per innovazione alimentare e come soluzione per una folle campagna ambientale. Ma si ignora la tossicità di quello che si vorrebbe far assumere a tutti, come se si fosse in dittatura.
Il resto del corpo è stato minacciato durante la pandemia, chiudendo le piscine e le palestre. “Mens sana in corpore sano” è un mantra dimenticato. Quel che poteva essere evitato, lasciando che tanti adulti si mantenessero in forma, non è stato evitato. Ai ragazzi è stata proibita una sana attività fisica per mesi e mesi, a causa di un virus che era poco più che un’influenza, soltanto da prendere in tempo con un menu di medicine ad hoc, che era in circolazione, ma che è stato ignorato dalle autorità.
Infine, veniamo all’attacco violento alla relazione, alla sessualità, quella che attraverso il contatto fisico con il corpo si realizza. La relazione sociale, amichevole, affettiva, sentimentale, amorosa, sessuale. Di fronte ai divieti di incontrarsi, al coprifuoco, all’impossibilità di spostarsi da città a città, persino lo “ius primae noctis” sfuma di forza e di valore.
Il Potere – allora incarnato in un corpo di un potente signore – commetteva, con lo ius primae noctis, un indicibile sopruso nei confronti dei giovani sposi. Eppure, una volta consumato, quello che era a tutti gli effetti un efferato delitto, non impediva il contatto, l’amore, tra di loro. Non veniva proibita la relazione, l’incontro.
Che è invece quel che accadrebbe con l’applicazione della cosiddetta “città dei 15 minuti”, come sta avvenendo a Oxford. Soprusi ai danni del nostro corpo-soggetto.
Tutto questo – a differenza di quel che avveniva nel Medioevo, passa attraverso la menzogna. Intanto, non c’è niente di più inautentico del transumanesimo.
Così come è menzognero e contrabbanda ogni buon senso il far passare per vera una teoria del “gender”, senza dargli un sostrato biologico che, naturalmente, non esiste. Il gender è una fabbricazione di laboratorio e, proprio come i corpi dei mutanti, non esiste in natura.
(*) Leggi i capitoli precedenti: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17
di Andrea Andy Indie De Angelis