venerdì 21 novembre 2025
Negli ultimi anni il tennis mondiale ha assunto un profilo quasi geometrico, con una vetta abitata da due giocatori che sembrano vivere in un piano superiore rispetto a tutto il resto del circuito. Carlos Alcaraz e Jannik Sinner non sono soltanto i primi due del ranking: sono diventati un binomio inscindibile, una coppia che monopolizza le finali dei grandi tornei e che dà l’impressione di trasformare ogni competizione importante in un loro duello privato. La distanza tra loro e il resto del campo è diventata quasi imbarazzante, tanto da far sembrare le prime fasi degli Slam e dei Masters un lungo prologo, una sorta di attesa inevitabile prima che i due fenomeni incrocino finalmente le racchette.
Il dominio non nasce soltanto dal loro talento, già fuori scala di per sé, ma dalla continuità con cui riescono a imporsi. Entrambi hanno una completezza tecnica rara e un’intensità atletica che pochi nel circuito riescono anche solo ad avvicinare. Alcaraz incarna una combinazione di potenza e creatività che ricorda a tratti il miglior Nadal, ma con una brillantezza imprevedibile tutta sua. Sinner, invece, è diventato la definizione vivente di solidità: un giocatore che ha aggiunto al suo tennis pulito e verticale una maturità agonistica che gli permette di gestire i momenti cruciali con freddezza glaciale. Insieme, creano una polarità perfetta che attrae l’attenzione di tutti e al tempo stesso respinge qualsiasi tentativo di terzi incomodi. Ed è proprio qui che la situazione si fa più critica: l’assenza di veri rivali strutturati. Ci sono giocatori talentuosi, emergenti dal grande potenziale, ma nessuno finora è riuscito a mantenere abbastanza continuità da inserirsi stabilmente nella conversazione. Nei momenti decisivi, quando serve trasformare una semifinale in un colpo di stato tecnico, i più giovani non reggono ancora la pressione e i più esperti sembrano aver perso quello spunto feroce che caratterizzava la generazione precedente.
Il tennis maschile vive così una fase paradossale: tecnicamente eccellente ai vertici, ma povero di profondità competitiva. Il confronto con il tennis di 10 anni fa è quasi inevitabile e, per certi versi, illuminante. Nel 2015 il circuito era ancora scosso dalle onde lunghe del Big four: Novak Djoković, Roger Federer, Rafael Nadal e Andy Murray. Un’era in cui ogni torneo era una battaglia tra giganti, ma in cui la concorrenza alle loro spalle era molto più agguerrita rispetto a oggi. Il livello medio era altissimo: c’erano giocatori capaci di battere un top player in qualsiasi momento, di strappare un set a Djoković o di trascinare Nadal in maratone imprevedibili. Certo, anche allora esistevano dominatori, ma l’impressione generale era che dovessero conquistarsi ogni centimetro, che il loro successo nascesse da duelli epici e non dalla semplice superiorità atletica e tecnica.
Era anche un tennis più “spettacolare”, in un certo senso. Non solo perché Federer portava in campo un’estetica irripetibile e Nadal incarnava la lotta, ma perché c’era una varietà di stili che oggi si sta lentamente perdendo. Il top spin esasperato, i tocchi di classe, il serve-and-volley sporadico ma letale: il tennis era un mosaico ricco, più imprevedibile, più contaminato. Oggi si assiste a una standardizzazione fisica e tattica che, pur elevando il livello massimo, appiattisce il resto del tabellone. Questo non significa che l’attuale rivalità tra Alcaraz e Sinner non sia affascinante. Anzi, è probabilmente la più intensa e tecnicamente pura degli ultimi anni. Ma è una rivalità che sembra vivere sopra un deserto, anziché dentro una foresta. Il pubblico resta incantato quando i due duellano, ma spesso attende proprio quel momento, come se tutto il resto fosse solo un contorno prevedibile.
E se l’imprevedibilità è la linfa dello sport, allora forse al tennis odierno manca proprio quel sapore di sorpresa che un tempo rendeva ogni torneo un racconto aperto. Forse servirà tempo affinché una nuova generazione trovi il coraggio e la forza di rompere questo duopolio. Forse servirà che un nuovo talento, ancora nascosto, emerga con la stessa ferocia con cui Sinner e Alcaraz si sono presi la scena. Fino ad allora, il tennis mondiale vivrà sospeso tra l’ammirazione per due fuoriclasse e la nostalgia per un’epoca in cui il vertice era più affollato, più imprevedibile, e forse anche più affascinante da inseguire.
di Michele Bandini