Manchester United: crisi di identità e decadenza prolungata

venerdì 23 maggio 2025


Il Manchester United, un tempo simbolo di dominio calcistico in Inghilterra e in Europa, è oggi il ritratto sbiadito della sua gloriosa storia. La sconfitta nella Finale di Europa League contro il Tottenham, un’occasione disperata per dare un senso alla stagione, ha messo il sigillo su un’annata disastrosa. Il 16° posto in Premier League non è solo un risultato deludente: è l’emblema di un collasso strutturale e culturale che affonda le radici in oltre un decennio di errori sistematici. La crisi ha avuto inizio nel 2013, con il ritiro di Sir Alex Ferguson. Dopo oltre 25 anni alla guida del club, il manager scozzese ha lasciato un vuoto che la società non è mai riuscita a colmare. Il problema principale è stato l’assenza di una visione a lungo termine: anziché costruire un progetto solido, i dirigenti hanno preferito rincorrere soluzioni tampone, affidandosi a una successione disordinata di allenatori con filosofie incompatibili tra loro.

David Moyes, scelto personalmente da Ferguson, non ha mai avuto il tempo né il supporto per imporsi. Dopo di lui, sono arrivati allenatori di fama mondiale come Louis van Gaal, José Mourinho e Ole Gunnar Solskjær, ma nessuno ha saputo realmente ricostruire l’identità del club. Ognuno ha portato con sé acquisti costosi, rivoluzioni tattiche e una continua instabilità. Il vero grande problema del Manchester United è la gestione societaria. La famiglia Glazer, proprietaria del club, ha più volte dimostrato di anteporre gli interessi commerciali a quelli sportivi. Il club è stato trasformato in un brand globale, ma il prezzo da pagare è stato l’abbandono della struttura sportiva di base. I direttori sportivi e gli uomini mercato si sono rivelati inadeguati. Si è speso moltissimo, ma spesso male: giocatori strapagati, scelte impulsive, mancanza di coerenza tecnica. Il Manchester United ha investito centinaia di milioni in calciatori che raramente hanno reso quanto promesso.

Il caso emblematico è quello di Paul Pogba, riportato a Old Trafford per una cifra record, ma mai realmente valorizzato. Anche sul campo, la squadra è da anni una miscela confusa di giocatori scollegati, senza un’identità definita. La rosa attuale soffre di gravi squilibri: reparti mal assortiti, giocatori chiave cronicamente infortunati, e una totale assenza di leader in campo. Le scelte tecniche degli ultimi anni hanno fallito nel costruire un undici competitivo e coeso. Ogni nuovo allenatore ha dovuto ripartire quasi da zero. Erik ten Hag, arrivato con la reputazione di costruttore del progetto Ajax, non è riuscito a imporre le sue idee, anche per la mancanza di supporto strutturale. I cambi continui in panchina hanno solo peggiorato la confusione, generando un ambiente instabile e demotivato.

La sconfitta nella finale di Europa League è stata l’ultimo atto di una stagione indecorosa. Finire al 16° posto in Premier League è inaccettabile per un club con la storia, il prestigio e le risorse del Manchester United. La squadra ha mostrato un calcio sterile, una tenuta mentale fragile, e una gestione delle partite disastrosa. È chiaro che non si tratta solo di una “brutta annata”: questa è una crisi strutturale, profonda, radicata. Non basterà cambiare allenatore o acquistare qualche nome di richiamo. Serve una rifondazione completa: un nuovo modello sportivo, dirigenti competenti, una cultura tecnica moderna e un progetto a lungo termine.


di Michele Bandini