giovedì 15 maggio 2025
Dopo 51 anni, il Bologna torna a vincere un trofeo. In grande stile, allo Stadio Olimpico di Roma, la squadra di Vincenzo Italiano ha battuto il Milan per 1-0 nella Finale di Coppa Italia. I felsinei sono riusciti a confermare, anzi, migliorare la stagione da urlo conclusa l’anno scorso da Thiago Motta con la qualificazione in Champions League. E oggi, con l’allenatore ex Fiorentina, ma senza Riccardo Calafiori, Joshua Zirkzee e senza Stefan Posch, il Bologna si gode l’accesso garantito in Europa League – una realtà forse più a misura degli emiliani – e Italiano il suo primo trofeo nel campionato maggiore dopo tre finali perse con la Viola (due di Conference League e una di Coppa Italia contro l’Inter). Il Milan, invece, con un tabellone complesso e tanta fatica in campionato era riuscito comunque ad arrivare in Finale grazie alle belle vittorie su Roma ai Quarti e Inter in Semifinale. Ma il sogno del secondo trofeo stagionale si è spento ieri nell’arco di 90’, e adesso la qualificazione a una qualsiasi coppa europea passerà di nuovo dall’Olimpico, dove i diavoli sfideranno i giallorossi di Claudio Ranieri domenica prossima.
Dal momento in cui l’arbitro Maurizio Mariani ha fischiato l’inizio della Finale, Milan e Bologna hanno messo in campo i muscoli e tanto ritmo. E il primo ufficiale di Aprilia forse non si aspettava una partita così nervosa e intensa sul piano agonistico, tant’è che non è riuscito quasi mai a distinguere gli scontri di gioco e i falli, facendosi martire e capro espiatorio degli sconfitti (anche se, probabilmente, ai rossoneri manca un rigore). Il Bologna, con i suoi tanti giocatori duri e di gamba, come i due centrali Jhon Lucumi e Sam Beukema, ma anche Emil Holm, Lewis Ferguson e Juan Miranda, è riuscito a vincere praticamente tutti gli scontri in mezzo al campo (allungando mani e gambe quando necessario), mentre il Milan ha perso la partita proprio quando ha deciso di assecondare il Bologna e giocarsi la Finale sugli attributi fisici e non con la tecnica. Qualità in cui i Diavoli hanno pochi rivali in Serie A. Solamente Youssouf Fofana è riuscito, a volte, ad avere la meglio in mezzo al campo contro i mediani del Bologna, ma non è bastato.
I felsinei sono arrivati più volte davanti alla porta difesa da Mike Maignan, ma prima Santiago Castro e poi Thijs Dallinga (i due “nove”) non erano in serata. Vista l’imprecisione degli attaccanti, e l’isolamento portato dal Milan sulla stella bolognese Riccardo Orsolini – che ieri ha potuto al massimo mettere qualche cross, mettendo comunque in mostra tutta la sua tecnica – ci ha pensato il solito Dan Ndoye a far gonfiare la rete avversaria. Al 53’, dopo un’azione da videogioco del Bologna, lo svizzero si è trovato al centro dell’area di rigore, e nel momento in cui tremano le gambe, nel momento in cui si vede la differenza tra chi ha è la prima volta che gioca una finale e chi no, l’elvetico ha avuto la freddezza di fintare il tiro, mandare a vuoto i difensori del Milan e poi colpire a fil di palo dove Maignan mai poteva arrivare.
L’ultima mezz’ora di gara ha fisiologicamente visto il Milan avere il pallino del gioco, con Sérgio Conceição che ha schierato tutti gli attaccanti a sua disposizione per provare almeno a sbloccare i tempi supplementari. Ma la tenuta fisica e nervosa del Bologna – anche con un po’ di esperienza e malizia, con qualche tutti giù per terra di troppo – ha precluso al reparto avanzato dei rossoneri le solite sortite offensive di Rafael Leão e compagni. E chi è entrato dopo, come João Félix e Kyle Walker, non è riuscito a trovare la giusta posizione in campo per far male al Bologna e aiutate la squadra.
Morale della favola: dopo sei minuti di recupero, Mariani (con gli occhi lucidi) ha fischiato tre volte e i rossoblù hanno potuto festeggiare un trofeo che mancava da 51 anni. All’Olimpico, Vincenzo Italiano è stato portato in trionfo sotto al popolo rossoblù, assieme anche al simbolo della città, Cesare Cremonini. Rispetto agli anni della Fiorentina, il tecnico nato a Karlsruhe è cresciuto molto sia nella gestione del gruppo che nella comprensione dei momenti della partita, e ha portato in dote al Bologna una solidità difensiva e una coesione di squadra inedita. Poi, in conferenza stampa, si è misurata la grandezza dell’uomo non sportivo, con la dedica del suo primo trofeo a Joe Barone e alla sua famiglia. Mentre a Milanello già si parla di rivoluzione. La terza in due anni.
di Edoardo Falzon