Me lo ha detto Mike Tyson

mercoledì 13 novembre 2024


Se è vero che si cerca il simile, è pur vero che si cerca anche il dissimile. Valga la mia testimonianza. Non ho avuto scontri corporei con alcuno, eppure sono appassionatissimo dello scontro fisico per eccellenza: il pugilato. Solo una volta mi sono recato a uno spettacolo di questo genere, al Palazzetto dello sport di Roma. Disgustato. Un nero grasso, malmesso fisicamente, si capiva che cercava di sopravvivere in quel modo, colpi e botte, veniva irriso dal pubblico. Ebbe un movimento con la faccia umiliata verso il pubblico, che lo irrise maggiormente. Faceva contorno a incontri più consistenti, ma quella umiliazione, vedere persone che si accanivano a spregiare mi schifò, e mai tornai ad assistere agli incontri di persona. Peggio, una corrida, in Spagna, torero incapace, non riusciva a uccidere un disgraziatissimo toro che se ne restava imbambolato e credo volesse morire o essere lasciato in pace, umile, indifeso, sanguinante, le banderillas attaccate penzolanti, bava; il torero sbagliava a infilzarlo, spezzava la spada, lo pugnalava, il toro subiva, più sbalordito che sofferente, finché giunsero a cavallo, bardati, taluni, legarono lo sventuratissimo toro, lo stesero sul terriccio, e, ancora vivo, lo strascicarono via dall’arena. Il pubblico mi nauseò quanto il torero. Se il torero vale e rischia vi è coraggio, almeno, ma quello era un mattatoio all’antica, uno scannatoio crudele e vile, e il pubblico degenerato doveva salvare quell’infelicissimo toro che sembrava sbalordito, dicevo, di avere per assassino uno che non sapeva neanche uccidere. Ma è tutt’altro che intendo aggiungere.

Se vedo ciò in uno spettacolo diciamo visivo, non direttamente, me ne appassiono, non dico vicende miserande, ma violente, sì. Posso aver letto i Discorsi di Buddha e il Discorso di Cristo sulle beatitudini, uno scontro di pugilato mi appassiona e “tifo” immedesimato, non il pugilato mani e piedi, villano, uno soffoca l’altro o lo colpisce e gli trattiene le braccia, scalciate nel ventre, talvolta si sente perfino il suono delle ossa rotte. Orribile, anche visivamente. La mia passione è il pugilato vero e proprio. Ricordi primaverili. Sugar Ray Robinson, anni Cinquanta, non lo colpiva alcuno, un volatile, gli si gettavano addosso, sgusciava, si allontanava felpato quel tanto che deludeva l’aggressore, il quale, invece, colpi reali ne subiva. Leggero, leggiadro, ironico al minimo, vinceva per esaurimento dell’avversario, anche se cagnesco come Jake LaMotta. Robinson fu campione nei Welter e nei Medi, un esemplare di gazzella leopardo, agile, snello, combatteva quasi giocasse. Non dava a scorgere la violenza dello scontro. Danzava. Ne prese figurazione più evidente, più beffardo Muhammad Alì, Cassius Clay in origine, il quale invece era beffeggiatore dichiarato. Stiamo nei Pesi massimi, soggetti alti, bastava un arretramento del busto e del volto e difficilmente coglievano, Alì faceva sghignazzi, non che sfuggisse lo scontro, notissimo quello con George Foreman, ma non era tra coloro che colpiscono e si fanno colpire, a botte da orbi, quasi come Robinson. Alì fu un aristocratico del pugilato, si ritraeva, e avendo braccia lunghe colpiva e si ritraeva. Non un pugno stenditivo, ma prevaleva per la sua intoccabilità sfuggente.

Seguitissimo, apprezzatissimo, popolarissimo, loquace, esposto oltre il pugilato, non, per dire, come Rocky Marciano del tutto pugile e soltanto pugile, nessun gesto plateale, chiuso, serio, compatto, un carro armato, incassatore incredibile, i pugni non lo toccavano pur ricevendone a temporale di grandine, poi scatenava qualche durone e l’avversario dormiva o si torceva. Dico, avversari come Joe Louis. Lo avvicinavano Robert Duran, Carlos Monzón, resistentissimi e pugni mattonati, definitivi. Pugili da nominare sarebbero innumerevoli. Clamoroso, recentemente, Mike Tyson. Non giunge al metro e ottanta, di una compattezza assoluta, forza incarnata, scheletro e muscoli, non elegante, con sapienza pugilistica elementare, si abbassa decurtandosi, si sposta da un lato e dall’altro, tuttavia scansava spesso i colpi, una qualche fragilità se l’avversario si poneva a distanza e assumeva l’iniziativa colpendo e ritraendosi, avvenne con Evander Holyfield che strappò a Tyson il sopravvento aggressivo, vincendolo nei due incontri.

Ma Tyson aveva forse il pugno più forte o tra i pugni fortissimi nella storia del pugilato, lo si capiva quando l’altro ne provava il risultato iniziatico, allora o si teneva distanza o legavano continuamente trasformando l’incontro in monotono abbraccio. Se, irresponsabilmente, accettava lo scambio, ne sortiva il “colpo” allucinogeno. Tyson usava anche il sinistro, addormentativo come il destro, da stramazzare persino un rinoceronte. Spesso in modo prestabilito, un colpo al fianco e uno alla mascella, montante. Tyson non danzava, nessuna agilità, nessuna punta dei piedi, non sorriso, non gesti, volto a saracinesca, occhi senza sguardo, fissava gli avversari come una porta chiusa, dopo aver passeggiato concentratissimo. Se vinceva, e vinceva, rarissimamente animazione trionfante. Si comprendeva che era stato infelicissimo e ormai nessuna riuscita lo sanava. Tutta apparenza. Questo lottatore sbranativo, se comprendeva che i suoi pugnoni avevano tramortito il nemico, accorreva pietosissimo, sollevava, abbracciava, sussurrava conforto, nel modo che può fare colui che associa il prossimo nel comune dolore della condizione umana. Del resto, basta vederne oggi il volto, il passaggio delle impronte persistenti di chi ne ha sofferte vicende afflittive. Un lottatore spietato che non ha rinnegato la pietà.

Esiste un brevissimo pezzo visivo. Alì, gonfio, malato, è seduto nella sua abitazione, qualcuno dà il via di ingresso agli ospiti. Giunge rapido, festoso, Sugar Ray Leonard, piccoletto, si slancia verso Alì, abbracciandolo, Alì non dimostra animazione, appare Tyson, in abiti anzi camicia bianca, un aspetto tutt’altro dalle comparse sul ring, Alì è sorpreso, si alza, finge un pugno in difesa prima di abbracciare Tyson che lo stringe filialmente. Tyson come altri venerava Alì. Ecco il punto. Stimare. L’individuo, l’Io, il singolo, l’unicità soggettiva, questo è il pugilato, la più denudata manifestazione della condizione soggettiva dell’uomo. Siamo irrimediabilmente Io, il pugilato lo svela in esemplarità radicale, drammatica. L’Io-Tu in lotta estrema palesa quanto deve combattere l’individuo per superarsi superando. Quando uno resiste, resiste, è colpito da schiantare invece sta, se cede si rialza, perfino capovolge la situazione, tu che guardi comprendi che forse non hai lottato abbastanza. Hai impegnato 12 round a una poesia? Sei rimasto in piedi ore da seduto a scrivere? Marciano, Alì, Sugar Ray Robinson, Jack Johnson, Gene Tunney, Jack Dempsey, Marcel Cerdan, Tyson mi circondano e vociferano: “Lotta, resisti, vinci soprattutto te stesso”. Chiudo lo spettacolo e ricomincio a scrivere. Me lo ha chiesto Tyson.


di Antonio Saccà