Allarme infortuni, calcio in ginocchio

martedì 8 ottobre 2024


Non è colpa degli impegni ravvicinati. O almeno così dice il chirurgo e presidente della Società italiana ortopedia e traumatologia (Siot), Alberto Momoli. Il medico, in un colloquio con l’Adnkronos, è intervenuto sul numero enorme di infortuni gravi al ginocchio subiti dai calciatori a solo un mese dall’inizio dei campionati nazionali. L’ultimo, in ordine cronologico, è stato quello di Duván Zapata, l’attaccante del Torino che – reduce da un inizio di stagione che si avvicina alla perfezione – è uscito dal campo in barella nella sfida contro l’Inter. In inglese si dice torn Acl, in italiano, rottura del legamento crociato anteriore, e troppo spesso si è letta questa dicitura sui bollettini medici delle squadre dei top cinque campionati europei. Infatti, prima del colombiano, è stato il turno di Gleison Bremer della Juventus, di Rodri del Manchester City, di Daniel Carvajal del Real Madrid e di Marc-André Ter Stegen, il portiere del Barcellona. Senza dimenticare Alessandro Florenzi e Gianluca Scamacca – che militano rispettivamente nel Milan e nell’Atalanta – che hanno contratto questo grave infortunio nel pre campionato.

Non era mai successo che così tanti atleti si infortunassero allo stesso modo, spesso contraendo lesioni anche al menisco. Secondo i calciatori, la causa di tutti questi incidenti è chiara: l’enorme numero di partite che sono costretti a giocare, tra campionato, coppe nazionali ed europee. Non è d’accordo però il dottor Momoli, che ragiona: “Le troppe partire sono una falsa pista, è vero che statisticamente più match si disputano e più ci sono i rischi di farsi male ma ci sono altri fattori. Il calcio è cambiato e oggi si arrivati ad un mix di velocità e potenza che sollecita in modo intenso le articolazioni, soprattutto il ginocchio”.

In Italia, i ricoveri per le lesioni del legamento crociato del ginocchio raggiungono gli 80mila casi all’anno. Due terzi di questi sono soggetti maschili, secondo i dati Siot. L’aumento degli interventi di chirurgia del crociato sono da attribuire, quasi nella loro interezza, a soggetti che giocano “a calcio a sei o calciotto su campi sintetici. Spesso però sono persone che giocano senza un allenamento continuo”, ha spiegato Momoli. Per i calciatori professionisti, va fatto un discorso a parte. “Se nel gesto del tiro la struttura più sollecitata è la caviglia, nelle cadute dopo un colpo di testa è il ginocchio come è sempre questa struttura a essere molto sollecitata quando si corre e si devia dall’asse”, ha aggiunto il chirurgo, che continua: “In questo caso gli elementi stabilizzatori (il crociato, il menisco e il collaterale) sono molto sollecitati e le masse muscolari molto sviluppate che hanno oggi i calciatori producono una tensione elevata. Se uno corre, frena e cerca di girarsi, ecco che può accadere che il crociato sottoposto a questo eccesso di tensione si rompa”.

In fin dei conti, con il cambiare del fisico dei giocatori – soprattutto difensori e attaccanti – e con la continua mutazione del gioco, sono cambiati anche gli infortuni. Il problema, è che con la rottura del legamento crociato, spesso la stagione di un atleta finisce anzitempo. Questo perché i tempi di recupero da un infortunio del genere sono lunghissimi. “Tecnicamente un crociato non torna in campo prima di 6-7 mesi. Un professionista di alto livello fa i suoi conti su questo indipendentemente dal chirurgo. C’è un tempo biologico dovuto al trapianto del tendine che ha necessità di 6-7 mesi per stabilizzarsi”. Senza contare la riabilitazione, che gioca un ruolo importantissimo nella ripresa della condizione atletica.


di Edoardo Falzon