lunedì 20 maggio 2024
A volte sono gli epitaffi a dare una buona dose di senso alle storie. Tra Massimiliano Allegri e la Juventus, nell’ultimo triennio, si è consumata un’appendice della quale potevamo oggettivamente fare a meno tutti quanti: il tecnico, la squadra, finanche noi tifosi. Perché alla fine quel che rimane dopo lo scorrere di stagioni mediocri è soltanto una Coppa Italia svilita da comportamenti non all’altezza di un’epopea nata davanti ad un liceo classico e, a oggi, offesa alla stregua di una giacca e di una cravatta gettate al vento.
Nessuno coglierà lo spessore derivante da un ulteriore trofeo in bacheca o dal ritorno nell’Europa che conta. Eppure si poteva sperare in qualcosa d’altro, di più consono a quel bianco che abbraccia il nero. Allegri ha un talento che si spalma nei parossismi. Il genio tattico foriero di vittorie e imprese agognate da sempre e il genio folle capace di gesti inconsulti, puramente irrazionali fino al limite massimo, tipo un pittore che distrugge i suoi capolavori dopo averli portati a compimento. L’ultima pennellata e poi lo strappo. Sarà un caso ma livornese era anche Amedeo Modigliani, un altro molto bravo nella pratica dell’autodistruzione. Il palmares di Allegri: 5 scudetti, 5 coppe Italia, 2 supercoppe di Lega. E poi le finali europee e poi le notti di coppa e poi i campioni e poi e poi, il sipario. Senza applausi e con un silenzio profondo a concludere lo spettacolo.
di Luca Proietti Scorsoni