mercoledì 31 gennaio 2024
Gigi Riva non era soltanto un calciatore: era un dio greco. Lo era perché – esattamente come un abitatore dell’Olimpo – guardava da lontano le vicende umane senza interessarsene oltre misura, pronto tuttavia a intervenire nei momenti decisivi, quando si trattava di far valere la propria presenza. Come un dio greco aveva la mascella squadrata, lo sguardo triste, la potenza nascosta e innata, l’abitudine al silenzio, il coraggio dell’azione. Dal punto di vista strettamente calcistico, la forza fisica faceva aggio sulla tecnica, della quale aveva bisogno quel tanto che bastasse a preparare il tiro devastante verso la porta avversaria (a differenza del suo compagno di squadra Comunardo Niccolai, il quale invece aveva preso l’abitudine di tirare verso la porta propria, come ben sapeva il povero Enrico Ricky Albertosi).
Epici i suoi duelli con un altro atleta a lui molto simile per costumi e riservatezza e del quale non a caso era molto amico: Tarcisio Burgnich, nato a Ruda, provincia di Udine. Se le davano senza risparmio durante la partita, ma sempre badando a non far male e, qualunque fosse l’esito della gara, uscivano dal campo abbracciati. Quattro azioni di lui, fra le tante, credo vadano in particolare ricordate.
La prima. Si disputava il match tra Portogallo e Italia, credo per le qualificazioni ai Mondiali, a Lisbona. Un difensore lusitano si gira verso la propria porta e, mentre tutti gli altri sono lontani, si appresta a passare la palla al proprio portiere (che allora poteva ancora prenderla con le mani) allo scopo di operare un rilancio lungo. Riva, intuendo prima di tutti ciò che sarebbe avvenuto, a velocità supersonica piomba alle spalle del difensore e, senza minimamente toccarlo, scocca di prima intenzione un tiro formidabile che si insacca all’angolino basso. Il portiere non ci aveva capito nulla, il difensore neppure, il pubblico nemmeno. Tutti abbiamo poi ricostruito, a gioco fatto, quello che era accaduto in un secondo soltanto e che Riva aveva concretizzato alla velocità prossima a quella della luce e senza per nulla aggiustarsi il pallone per il tiro: in sostanza, il difensore, senza saperlo e volerlo, aveva propiziato lui stesso la rete di Riva. Non sapeva fosse un dio greco.
La seconda azione. Al Romeo Menti di Vicenza, un cross come tanti verso l’area avversaria, non ricordo se di Angelo Domenghini o di Pierluigi Cera, destinato a perdersi fra il nugolo dei difensori, ma non per lui. Riva letteralmente inventa una acrobatica rovesciata con la quale, fra lo sbalordimento di pubblico, avversari e compagni, indirizza il pallone all’angolino alto opposto all’angolo dal quale aveva scoccato il tiro. Estetica pura del gioco, sublime geometria della mente e del corpo, capacità euristica nel vedere e nel compiere ciò che nessuno aveva neppure lontanamente immaginato. Ma a pensarci bene, nessuna sorpresa: era un dio greco.
La terza azione. A Napoli contro l’allora Germania Est, secondo tempo. Cross dalla destra a mezz’altezza e teso. Riva non pensa neppure di domare il pallone per poi tirare, ma si lancia di testa in un volo prodigioso e lo spedisce alle spalle del portiere che neppure lo vede. Qui siamo ai confini dell’angelologia, perché il volo di Riva lo colloca in quella dimensione oltre umana preclusa ai più ma per lui abituale, a metà fra il cielo e la terra, ove appunto – come indica San Tommaso – dimorano soltanto gli angeli. E (per noi) gli dei greci.
Quarta azione. Stadio Azteca, Città del Messico, la celeberrima partita Italia-Germania. Sul due pari, un esausto Domenghini dalla fascia sinistra lancia verso il centro, sperando non si sa bene che cosa. Riva, in piena corsa e con Karl-Heinz Schnellinger che lo marcava (non proprio uno qualunque), ammorbidisce il passaggio di interno sinistro e, senza che la palla tocchi terra, la carezza di esterno, per poi, sempre in velocità, indirizzare verso l’angolino sinistro dell’impotente Sepp Maier un diagonale rasoterra tanto preciso quanto beffardo. Poi torna a casa verso le dimore olimpiche.
Si potrebbe proseguire, ma quanto ricordato basti a riguardare – sempre a distanza – la qualità dell’uomo, oltre che dell’atleta. È appena il caso di aggiungere che, a oggi, dopo che ha smesso di giocare da mezzo secolo, Riva è ancora il primo nella classifica dei marcatori della Nazionale italiana di calcio, con 35 reti in appena 42 partite. E se si pensa che il primo dei giocatori oggi ancora in attività – Ciro Immobile – ne conta 17, si comprende che il primato resterà suo per almeno un altro mezzo secolo.
Anche questo, forse, ora che è scomparso, testimonia la sua appartenenza a un mondo diverso da quello in cui tutti abitiamo, asservito al potere, al denaro, alla sopraffazione, agli inganni. Riva abitava altrove, in un mondo silenzioso ed appartato, dove le cose che davvero hanno valore non hanno prezzo alcuno. E dove giocare nel Cagliari e per Cagliari non si può scambiare per tutto l’oro del mondo. Neppure – come si narra – per un assegno in bianco che spettava a lui solo riempire con la cifra che volesse, ma già firmato da Gianni Agnelli.
di Vincenzo Vitale