Ritratti. L’Angelo Di Maria

venerdì 24 febbraio 2023


Quell’uomo viene da Rosario, provincia di Santa Fe, Argentina. Sulla pelle i tatuaggi (tanti), con sé il proverbiale mate come bevanda. Fossimo nel cinema, potremmo dire che la sua è una vita da attore non protagonista. Ha trentacinque anni e, nel deserto, disegna calcio. Come i maestri, come chi ne sa più degli altri. Sottovoce, ma non troppo.

Angel Di Maria – detto el Fideo, lo spaghetto – sembra uscire fuori dal nulla. Almeno leggendo i commenti estasiati dei tifosi juventini dopo la tripletta messa a segno ieri dal talento sudamericano in terra di Francia, contro il Nantes, nei playoff di Europa League. Con la Vecchia Signora firma un contratto annuale: giunge in Italia in una stagione che per i bianconeri, a lungo andare, si presenta non facile, per le note questioni extracampo. Di Maria parte con il botto contro il Sassuolo, nella prima giornata di campionato. Poi gli infortuni, l’andamento altalenante, qualcuno (più di uno) che pensa che l’atleta stia andando al risparmio, perché l’obiettivo principale è il campionato del Mondo in Qatar (che l’Argentina vince, Di Maria in finale segna pure un gol). Chiusa la competizione, Angel – di nome e di fatto – prende per mano la squadra piemontese. Se sia piovuto dal cielo o meno poco importa: meglio avercelo, che no. Soprattutto se è in salute.

Insomma, Di Maria è questo. E non è una novità. Basta vedere la bacheca e le vittorie con Benfica, Paris Saint Germain e Real Madrid. Con quest’ultimi, nel 2014, nell’atto conclusivo della Champions League contro i cugini dell’Atletico, offre una prestazione sontuosa. Gli smemorati possono andare a vedere l’azione che porta al 2-1 di Gareth Bale.

Anni fa, in un’intervista, spiega perché dopo ogni partita porta con sé la bandiera del Rosario: “Perché la bandiera argentina è stata alzata per la prima volta a Rosario, la mia città, e perché rappresento il mio paese in Europa. Voglio anche rappresentare il posto dove ho passato l'infanzia e ho imparato a giocare a calcio. Ho ancora quella bandiera e la porterò sempre con me”.

Angel Di Maria, tra una finta e un colpo di tacco, oltre che al pallone è attaccato anche alle sue origini. E a una bicicletta, Graciela: “Quella bici era un tesoro per me. Mi ricorda quando ho iniziato a giocare e a crederci sul serio. Era molto speciale e sarà sempre con me in ogni partita e in ogni finale che giocherò… Rappresenta tutte le opportunità che mi ha dato mia madre quando mi portava agli allenamenti. Era sempre con me e andava dappertutto in bici. Mi viene in mente ogni volta che gioco. Cerco di dare il massimo perché mi ricordo tutti i suoi sacrifici”.

Chi ama il calcio uno come Di Maria, soprattutto questo Di Maria, lo porterebbe in spalla in capo al mondo. Ma attenzione: non datelo per finito. E soprattutto, tra una preghiera e uno scongiuro, tenetevi stretto quest’Angelo


di C.B.