venerdì 11 marzo 2022
“Io ero Lewis Alcindor, diciottenne nero di New York. Ero tutto metropolitane veloci, hot jazz e diritti civili. Lui era John Wooden, cinquantacinquenne bianco di una cittadina dell’Indiana. Era tutto trattori, big band e morale cristiana. Eravamo una coppia da sit-com e la nostra storia stava per cominciare”.
Un giovanotto che approda a Los Angeles, alla Ucla, l’Università della California, agli ordini dell’allenatore del Midwest, noto per essere un numero uno, un vincente. Così diversi, così lontani, eppure tra i due c’è l’alchimia giusta: la stima si tramuta in amicizia, un legame duraturo che andrà avanti quasi per mezzo secolo. Quel ragazzone alto 218 centimetri – probabilmente il più forte pivot della storia del basket americano, recordman di punti in Nba – è Kareem Abdul-Jabbar, che nel libro “Coach Wooden and me. 50 anni di amicizia dentro e fuori dal campo” (Add editore) racconta le tappe di un viaggio unico, tra il mondo della pallacanestro del campionato universitario fino ai successi con i Lakers. Ma non solo: “Sono impressionato dai tuoi voti, Lew disse coach Wooden al nostro primo incontro, mentre mi sedevo davanti a lui e alla sua scrivania piena di appunti. Voti? Ho pensato. Sei l’allenatore di una delle migliori squadre di basket del Paese e parli di voti? E le mie statistiche impressionanti? Come se avesse capito cosa stavo pensando, mi guardò negli occhi per tranquillizzarmi e disse per la maggior parte degli studenti, il basket è qualcosa che passa. La conoscenza invece ti accompagna per sempre”.
John Wooden, “un leone gentile”, è morto nel 2010, sette anni dopo Jabbar comincerà a mettere nero su bianco dando vita a 256 pagine che spaziano dall’inizio del gioco fino alla fine: “Questo libro copre quasi cinquant’anni di amicizia in continua evoluzione, vista attraverso gli occhi di un uomo, io, abbastanza vecchio e maturo da capire la verità sul nostro rapporto, anche quando si parla di fatti accaduti quando ero troppo giovane per riconoscere quelle verità. La lezione più importante di coach Wooden è stata che non dovremmo mai concentrarci sul risultato, ma sull’attività stessa. Non pensate a vincere la partita diceva. Fate però tutto il possibile per prepararvi. Se saprete di aver tutto il possibile e di aver dato il meglio di voi stessi sul campo, quella sarà la vostra ricompensa. Il tabellone dei punti non è importante. Questa filosofia, che diventò la base del suo lavoro di insegnante di Letteratura e allenatore, era stata ispirata da una poesia anonima, che leggeva all’Università… All’inginocchiatoio per la confessione un poveretto pregò Dio, chinando la testa. “Ho fallito” gemette. E Gesù in risposta: “Hai fatto del tuo meglio, non c’è migliore azione””.
Un percorso a ritroso, una testimonianza sulla vita, o meglio, sull’aver compreso che “alcune vite sono così straordinarie e toccano così tante persone che la loro storia deve essere raccontata alle generazioni a venire, in modo che i valori che diffondono non si perdano o scompaiono”. Anche se alcune vite “sono difficili da raccontare, perché le persone che guardano quella vita lo fanno tutte da prospettive diverse, a volte persino contrastanti”. Eppure “la storia ricorderà John Wooden per i suoi successi sportivi senza precedenti. Ma la sua famiglia, gli amici e gli ex giocatori lo ricorderanno per aver vissuto secondo l’insegnamento che più amava: la felicità ha inizio dove termina l’egoismo”.
Già, perché ogni volta che parlava ai giovani “coach Wooden distribuiva loro alcuni cartoncini plastificati su cui era stampato il Giuramento di sportività di John Wooden e in ogni occasione chiedeva loro di pronunciarlo insieme a lui... Che vinca o perda, sarò sempre sportivo. Nessuna lamentela, nessuna scusa per nessun motivo. Non mollerò mai, dando il cento per cento, impegnandomi al massimo in ogni momento. Con questo giuramento darò il meglio di me stesso. Coach Wooden mi ha insegnato ad avere successo”.
(*) Kareem Abdul-Jabbar, “Coach Wooden and me. 50 anni di amicizia dentro e fuori dal campo”, Add editore, 20 euro, 256 pagine, traduzione di Alessandra Maestrini
di Claudio Bellumori