Ritratti. Gento di passione: addio a una leggenda Real

venerdì 21 gennaio 2022


Ci sono stati i periodi d’oro di Happy Days, di Ralph Malph, dei Roy Roger’s come jeans e di una squadra di calcio salita sul tetto dell’Olimpo. Eravamo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, con la Spagna franchista e una camiseta blanca che colorava il grigiore del tempo. FranciscoPaco Gento, morto il 18 gennaio, era una delle pedine di quel Real Madrid che ha scritto una pagina indelebile negli almanacchi del pallone (sono stati calciatori pure i suoi fratelli Julio e Toñin e i nipoti Julio e Paco Llorente). Se ne è andato a ottantotto anni e il suo curriculum è unode al successo: dodici volte campione della Liga, sei Coppe dei Campioni (unico calciatore al mondo; insieme a Paolo Maldini è uno dei due giocatori che hanno disputato otto finali, cinque le vittorie del rossonero), una Coppa Intercontinentale, due Coppe di Spagna e un bis nella Coppa Latina.

Diciotto stagioni con la divisa delle merengues, 600 partite, 182 gol messi a segno e una striscia di titoli in bacheca (24). Troppo forte: “È morto Francisco Gento, presidente onorario del Real Madrid, una delle più grandi leggende del nostro club e del calcio mondiale – ha scritto la società madrilista in una nota – la figura di Paco rappresenta fedelmente tutti i nostri valori, è stata e continuerà a essere un punto di riferimento per il Real Madrid e per il mondo dello sport. I tifosi del Real Madrid e tutti gli appassionati di calcio lo ricorderanno sempre come una delle loro grandi leggende”. Già, una leggenda. E non poteva essere altrimenti, se i tuoi compagni di attacco si chiamavano Alfredo Di Stefano, Ferenc Puskás, Raymond Kopa, Hector Rial.

Figlio di un camionista, si era cimentato anche nell’atletica e proprio la velocità fu uno dei suoi marchi di fabbrica. Francisco “Paco” Gento – piazzato trentesimo, in coabitazione con Just Fontaine, nella classifica del miglior calciatore del XX secolo – indossava la maglia numero 11 ed era il prodotto sublime di un calcio denso di retorica, quello dove i difensori tracciavano la linea oltre la quale ti attendeva una selva di zampate, quando la televisione trasmetteva immagini in bianco e nero. Un altro mondo, certo, ma era il mondo ipnotizzato dalle finte della Galerna del Cantabrico, un giovanotto destinato a una vita come pastore ma a cui il fato, invece, riservò un altro ruolo nel film che ha avuto come teatro il Santiago Bernabeu.

Un attore entrato in punta di piedi e che, dribbling dopo dribbling, ha conquistato i gradi di mito. Quel mito che ha contribuito a fare grande il Real in anni d’oro divenuti celebri proprio come una canzone di qualche tempo fa.


di Claudio Bellumori