Franco Baresi, libero di sognare

martedì 2 novembre 2021


La realtà della vita, l’infanzia (“quando avevo un momento libero andavo a giocare, anche scalzo”) e un messaggio per dare speranza ai più giovani. E non solo. Franco Baresi, bandiera del Milan, ha scritto “Libero di sognare” (edito da Feltrinelli): un libro di 128 pagine tra determinazione, coraggio, il potere dell’immaginazione per diventare leggenda. Ma anche tante difficoltà: l’ex difensore rossonero, oggi vicepresidente onorario della società milanese, a 13 anni ha perso la madre, a 17 il padre (“mi sono sempre sforzato di non pensarci, se lo faccio vengo travolto da un terremoto emotivo che non sono ancora in grado di gestire. Scrivere queste righe mi costa fatica, ma non posso più nascondermi. Perché se mi guardo indietro sento di aver costruito la mia carriera anche sul dolore e la rabbia”).

Soprannominato Piscinin e Kaiser Franz, in bacheca ha collezionato sei scudetti (ha vinto pure due campionati di Serie B), quattro Supercoppe Italiane, tre Coppe dei Campioni, tre Supercoppe Uefa, due Coppe Intercontinentali. Nel 1982 ha fatto parte della Nazionale italiana che ha conquistato il Mondiale in Spagna. Con gli Azzurri si è poi piazzato terzo e secondo rispettivamente nel 1990 e nel 1994. Proprio quest’ultima competizione, andata in scena negli Usa, è tornata all’inizio di ogni capitolo. L’immagine è quella di Pasadena (17 luglio), il match è contro il Brasile: Baresi con un miracolo sportivo (ma non casuale) riesce a essere della partita, recuperando dalla rottura del menisco rimediata contro la Norvegia (nella seconda giornata del girone eliminatorio). Tutti – chi più, chi meno – hanno davanti agli occhi il rigore calciato alto dal leggendario numero 6 (“a trentaquattro anni piango ogni lacrima che ho in corpo davanti al mondo intero. Piango per aver perso la finale, per la fatica delle ultime settimane, per il rigore fallito, per aver visto sfumare il sogno all’ultimo momento, per aver dato ogni briciolo di energia, per la mia squadra, per il mio Paese, per tutte le sofferenze che ho affrontato nella vita, per il sogno infranto di quel bambino che giocava scalzo nell’aia. Piango anche le lacrime che trattenni quella notte del ’70. Piango libero, perché non temo più di sembrare debole”).

Da Travagliato (provincia di Brescia) al successo, dall’oratorio all’esordio in Serie A, la carriera e la gara d’addio: con l’aiuto dell’amico e scrittore Federico Tavola, Franco Baresi è andato oltre il suo mito, senza sgomitare, ricordando il periodo della vendemmia “era l’occasione per disertare i banchi” e quegli undici metri davanti a Taffarel “fisso il pallone. Non mi appartiene più”. Un grande difensore (“a giocare libero mi sentivo in gabbia. Ero vincolato a un ruolo che limitava il mio potenziale… il modo di giocare in cui ero cresciuto, con la difesa a uomo, mi sembrava vecchio e destinato a scomparire”) che ha messo tutto nero su bianco con gli occhi di bambino, andando a ritroso dove quel tutto “è cominciato” tra “campetti improvvisati di campagna” fino ai migliori stadi del mondo. Ma rimanendo “sempre lo stesso”. Ovvero libero di sognare.

(*) Franco Baresi, “Libero di Sognare”, Feltrinelli, 128 pagine, 15 euro


di Claudio Bellumori