Sir Alex Ferguson

venerdì 3 settembre 2021


“Decisi subito che, per guadagnarmi la fiducia e la lealtà dei giocatori, dovevo prima loro la mia: questo legame è la base su cui si fondano le grandi imprese”. Chi parla, di imprese, se ne intende: vedi la Coppa delle Coppe e la Supercoppa europea conquistati con l’Aberdeen (rispettivamente contro Real Madrid e Amburgo). E poi la sfilza di trofei messi in bacheca sponda Manchester Utd: tredici campionati, cinque Coppe d’Inghilterra, quattro Coppe di Lega, dieci Charity/Community Shield, due Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Coppa del Mondo per club. Signore e signori, tutti in piedi al cospetto di sir Alex Ferguson.

Ogni volta che la telecamera lo inquadrava, masticava il chewing-gum con la stessa autorevolezza con cui impartiva ordini ai suoi giocatori. Un mix vincente tra lettura della partita, carattere, conoscenza del calcio e anche capacità di osservazione, che l’ha aiutato nel suo percorso: “Alcuni entrano in una stanza e non notano nulla, ma bisogna usare gli occhi. È tutto lì. Ho utilizzato questa mia abilità per valutare le abitudini di allenamento, il temperamento e i comportamenti dei giocatori”.

C’è questo e molto altro in “Alex Ferguson – La mia Vita” (Bombiani Overlook) dove il tecnico (con il contributo di Paul Hayward) ripercorre la sua carriera: “In Scozia il motto del clan Ferguson è Dulcius ex asperis ovvero Migliore dopo le difficoltà. Questo ottimismo mi è stato utile nei trentanove anni da allenatore di calcio; per tutto questo periodo, dai primi quattro mesi all’East Stirlingshire, nel 1974, al Manchester United nel 2013, ho saputo vedere il successo oltre le difficoltà. La capacità di gestire grandi cambiamenti anno dopo anno si fondava sulla convinzione che avremmo sconfitto ogni avversario”. E poi: “Le radici non dovrebbero mai essere un ostacolo per il successo, e un’origine modesta può essere un vantaggio piuttosto che una difficoltà. Se consideri le persone di successo, se cerchi il segreto della loro energia, della loro motivazione, fai caso a cosa hanno fatto nella vita i loro genitori. L’origine operaia di molti miei giocatori non è stata loro d’ostacolo; al contrario, spesso ha rappresentato uno dei motivi del loro successo”.

C’è un capitolo dedicato a David Beckham, con inevitabile accenno a quell’episodio avvenuto nello spogliatoio che fece il giro del mondo. Tutto accadde dopo una sconfitta per 2-0 in FA Cup, contro l’Arsenal: “La mancanza di David, in quella partita, fu che non si preoccupò di tornare in difesa in occasione del secondo gol dell’Arsenal, segnato da Sylvain Wiltord; si limitò a corricchiare, e l’avversario lo distanziò. A fine partita glielo dissi, e come al solito David non accettò le mie critiche; forse stava cominciando a pensare che non aveva più bisogno di tornare indietro e inseguire l’avversario, ma erano proprio quelle le qualità che lo avevano fatto diventare quello che era. Era a quattro metri da me, e sul pavimento c’era una fila di scarpe. David imprecò, io andai verso di lui e mentre mi avvicinavo diedi un calcio a una scarpa, che lo colpì giusto sopra l’occhio. Lui si scagliò contro di me ma i giocatori lo bloccarono. Siediti gli dissi. Puoi discutere quanto ti pare. Hai deluso la tua squadra”.

C’è poi spazio per Cristiano Ronaldo (“il giocatore di maggior talento che io abbia mai allenato”), Roy Keane (“prese su di sé la responsabilità di mantenere alta la motivazione nello spogliatoio, e ogni allenatore sa quanto vale questo tipo di aiuto da parte di un giocatore”), Rio Ferdinand (“non ho mai visto uno di un metro e novanta con un cambio di passo così impressionante. Con il tempo la sua capacità di concentrarsi migliorò e cominciò a pretendere di più da se stesso, prendendosi sempre più responsabilità all’interno della squadra e del club. Diventò un giocatore completo”9.

Ha allenato anche Eric Cantona, Ruud Van Nistelrooy, Ryan Giggs, Wayne Rooney. Ha rivaleggiato con Manchester City, Arsenal, Chelsea, Liverpool. Sempre a testa alta: “Quando vinsi il campionato per la prima volta, nel 1993, non volevo che la squadra si lasciasse andare; questo pensiero mi tormentava. Ero determinato a continuare a crescere, a rafforzare la nostra supremazia. Dissi ai giocatori del 1993 alcuni, quando sono in vacanza, vogliono semplicemente andare a Saltcoats, che sta sulla costa, a quaranta chilometri da Glasgow. Altri non ci pensano nemmeno, sono contenti di stare a casa, o di andare a vedere gli uccellini e le papere che nuotano al parco. Altri ancora vogliono andare sulla luna. È una questione di ambizioni”.

(*) Alex Ferguson, “La mia vita”, Bombiani Overlook, pagine 433


di Claudio Bellumori