venerdì 5 dicembre 2025
Un fantasma ha camminato sulle pagine di uno dei quotidiani più autorevoli d’Italia, il Corriere della Sera. Un fantasma chiamato “notizia completamente errata”. Il caso è di quelli che fanno tremare le fondamenta del giornalismo: la presunta, e inesistente, scoperta di una ragazza morta tra le macere di Nardò (Lecce). La notizia è stata data, ha fatto il giro del web e poi è evaporata come un miraggio al sole, lasciando dietro di sé solo la polvere amara del fallimento informativo.
ANATOMIA DI UN FLOP: LA CORSA CIECA ALL’ULTIM’ORA
Cosa è successo? È l’eterna, logorante storia della corsa contro il tempo. Nel panorama mediatico contemporaneo, l’ossessione per lo scoop ha soppiantato il sacro dovere della verifica. L’informazione non è più un processo di accertamento, ma una gara di velocità in cui “chi arriva prima” è l’unico mantra.
Questo episodio è la cartina di tornasole di un sistema malato, dove la tempistica ha surclassato la veridicità. Il giornalista, nell’ansia di battere la concorrenza, ha presumibilmente abboccato a una fonte rivelatasi inaffidabile o ha frainteso dati di partenza, trasformando un potenziale ritrovamento in un dramma già consumato, purtroppo basato sul nulla.
LA MASCHERA DELLA “FONTE NON ATTENDIBILE”
Quando lo scandalo è scoppiato, il riflesso condizionato è stato quello di scaricare la colpa sulle “fonti non attendibili”. Errore! Questo alibi non regge. La verità che dobbiamo dirci fuori dai denti è semplice e brutale: la responsabilità finale non è della fonte, ma del giornalista che la utilizza. La fonte può mentire, può sbagliare, può essere male informata; è compito del professionista della notizia verificare, incrociare, confermare l’informazione con almeno due o tre riscontri indipendenti prima di imbrattare la pagina.
E non finisce qui. Il secondo, cruciale, anello della catena è il direttore responsabile. Egli è l’ultima istanza, il garante etico e legale che deve notificare, e quindi bloccare, una notizia palesemente non verificata o eccessivamente sensazionalistica, prima che questa veda la luce. In questo caso, il sistema di controllo qualità del prestigioso quotidiano è fallito su tutta la linea. Il flop di Nardò non è un incidente di percorso, è la dimostrazione che l’ossessione per la “breaking news” sta corrodendo il principio cardine del giornalismo: la verità accertata.
DISORIENTARE L’OPINIONE PUBBLICA
Il risultato di questa leggerezza è disastroso. Non si tratta solo di una figura barbina per un giornale storico. Il danno è molto più profondo. Si provoca un disorientamento pubblico dato da notizie false, specialmente di questa gravità emotiva, che generano allarme ingiustificato, sfiducia nelle istituzioni e, soprattutto, screditano l’intera categoria giornalistica.
Per non parlare della perdita di credibilità: ogni errore non solo infanga il Corriere, ma erode la fiducia generale nei confronti della stampa, spingendo i lettori a rifugiarsi nel cinismo o, peggio, nelle fake news che, paradossalmente, sembrano meno “traditrici”. Giocare con la morte, anche se involontariamente, innescando l’attenzione morbosa su una tragedia mai avvenuta, è un atto di profonda insensibilità verso la comunità di Nardò e verso le reali vittime della cronaca.
LA MORALE È AMARA
In un’epoca dove tutti possono pubblicare tutto in tempo reale, il giornalismo professionale dovrebbe elevarsi a baluardo della verifica, lento se necessario, ma impeccabile. Quando, invece, si allinea alla frenesia del chiacchiericcio online, perde la sua identità e la sua funzione.
È tempo di invertire la rotta: la verità prima della velocità. Fino a quel momento, casi come quello di Nardò continueranno ad essere le macere morali di un’informazione in crisi.
di Alessandro Cucciolla