giovedì 27 novembre 2025
Opinioni diverse su un tema complicato che riguarda i minori sottratti alla famiglia aglo-australiana, che ha scelto i boschi dell'Abruzzo per vivere “in natura”. Leggi anche l'articolo di Aldo Rocco Vitale e Daniele Onori.
Il pensiero libero e la filosofia non sono più essenziali a questo mondo centrato su piccoli bisogni esteriori e su esteriori valutazioni della vita animica e sociale degli uomini, e si vede anche nella questione della famiglia che viveva nel bosco abbruzzese che tanto ha appassionato e ha acceso molteplici dibattiti, sui social e nei media in generale.
In questa realtà sociale così omologante, al posto del pensiero libero è subentrata la valutazione psicologica; infatti, più che interrogare i filosofi sulla questione della famiglia del bosco, che sono quelli che dovrebbero ragionare, si chiede “lume” agli psicologi che però hanno una conoscenza meccanicistica e soltanto fenomenica dell’anima. Per giunta nel mondo psicologista che guida oggi le scienze umane, l’anima è stata retrocessa a mera “psiche”, qualcosa che non è più centro attivo in relazione possibile con la totalità spirituale dell’universale, ma si dà come un particolare astratto che deve solo essere curato e ascoltato come una sostanza che patisce.
Che fine amara è quella dell’anima di Plotino, Leibniz ed Hegel nel mondo degli abilitati dalla burocrazia psicologi, che ormai sono i soli giustificati a discorrere di psiche e produzioni animiche che essa può realizzare. Al contrario, l’anima dei filosofi vive in un rapporto possibile con l’assoluto e può anche dare corpo alle sue pulsioni, per dirla con Freud, possibilmente armonizzandole con il lato razionale del sé, mentre la psiche psicologista subisce le prescrizioni e le “correzioni” di professionisti che in fondo non fanno altro che identificare la psiche con il suo substrato fisiologico, il cervello. L’anima però è fatta di ben altra sostanza, come riteneva Platone, era parte di un mondo più alto, quello delle idee vicine al mondo degli dei.
A parte Jung, Hilman e pochi altri, la psicologia è lontana da una simile concezione della psiche. La filosofia è impotente di fronte a questa deriva scientista e antispirituale. Così non meraviglia che tutti questi “esperti” chiamati a discorrere della questione in oggetto parlino tutti di una impossibilità di realizzare condizioni oggettive di cura adeguata per quei bambini. Ma la libertà, un concetto che gli psicologi prendono con le pinze perché potrebbe essere disfunzionale al normale esercizio della psiche omologata che gli psicologi professano, dove va a finire se un essere umano non ha il diritto, come direbbe Junger, di passare al bosco e di rinnegare il processo di civilizzazione a base tecnica che tante aporie, come un inquinamento senza freni, crea sulla pelle delle persone?
L’anima ha il diritto di dissentire e crearsi altre modalità di esistenza, forse anche più autentiche rispetto a una vita omologante che instaura sempre e solo certi determinati schemi da cui non si può uscire. La famiglia anglo-australiana si è solo resa interprete di un sentimento diffuso, che vuole cercare di affermare l’uscita dagli schemi per sperimentare nuovi modi di vita, che sono poi quelli dell’umanità tradizionale e delle generazioni umane che ci hanno preceduto. Mero romanticismo rimodulato alle caratteristiche del nostro tempo? Più che altro disagio di fronte alla rigidità e alle pesantezze materiali e anche ideologiche che una società come questa, che non ama le alternative e che le combatte ferocemente, instaura nella coscienza di molti suoi membri.
E lo Stato cosa fa? Invece di valorizzare il pensiero divergente, altri possibili modi di vivere, va a reprimere − togliendo i bambini ai genitori − la possibilità di seguire la libertà della propria interiorità, come avevano deciso queste persone che liberamente avevano scelto di vivere una vita più vicina alla natura. Le misure prese fanno richiamare alla mente quanti filosofi hanno parlato dell’opportunità di uno Stato minimo, che non interferisca con la libertà e con l’autodeterminazione della propria soggettività. Quel che è certo, però, è che nel prendere certe determinate decisioni si ascolta molta “psicologia” che, malgrado tutti i suoi esperimenti sulla psiche, malgrado tutti i suoi modelli generali di metodologia quasi matematica che vogliono inquadrare meccanicamente, e quindi illegittimamente un fenomeno così vasto, animato e vivo come la vita dell’anima, non è la sola disciplina che può andare a dissertare di questioni sociali e personali così complesse.
Sarebbe opportuno in questo paese che si utilizzasse e si tornasse a praticare una maggiore razionalità, nel senso hegeliano del termine, e che il pensiero e la sua valenza demistificante accompagnino maggiormente decisioni che altrimenti non fanno che essere altamente divisive, proprio perché la razionalità hegeliana che punta alla totalità non è stata interrogata e non ha fatto valere il suo punto di vista.
di Mario Sammarone