giovedì 13 novembre 2025
Chiamiamolo “caccia all’uomo”, e potrebbe trattarsi della trama di un film, quasi un horror: la prima scena inquadra due ricchi signori, un banchiere tedesco ed un industriale con interessi anche in Italia, che s’incontrano sul confine italiano, a Trieste. Corre l’anno 1994, sorridendo l’uno domanda all’altro il perché di questo viaggio nella ex Jugoslavia in piena guerra civile: la risposta è: “Si va a caccia”. Entrambi sono vestiti con abiti sportivi molto costosi d’una nota firma per indumenti da caccia, viaggiano a bordo di Range Rover V8 a benzina, scortati da polizie private. L’imprenditore rivela al banchiere che anche un loro vecchio amico sarà a Sarajevo, e a cena potranno terminare la chiacchierata interrotta a Montecarlo. Ma non andiamo oltre, anche se una querela da un blasonato vip suonerebbe d’ammissione di colpa: una sorta di excusatio non petita, accusatio manifesta. Il finale si spera sia un giusto processo, e una condanna per omicidio.
Certo è difficile per noi italiani normali credere, o anche solo ipotizzare, esistano ancora tra noi individui capaci d’entusiasmarsi alla sola idea di poter esercitare la caccia all’uomo. Viene spontaneo ipotizzare si tratti solo di storie narrate in romanzi e poi dal cinema. Ma homo homini lupus, espressione latina che significa “l’uomo è un lupo per l’uomo”, s’ispira a consuetudini ed istinti ancestrali mai sopiti. Soprattutto in coloro che detengono potere e soldi, che forse s’annoiano e provano profondo disprezzo verso la gente comune, soprattutto gli esclusi.
Il caso dei cecchini di Sarajevo è nuovamente al centro della cronaca perché, dopo trent’anni sarebbe emerso che “il Sismi scoprì i viaggi e li bloccò”. Ovvero c’erano anche italiani insospettabili, ma ricchi e potenti, tra coloro che acquistavano il biglietto per partecipare alla “caccia all’uomo” in una Sarajevo sconvolta dalla guerra civile jugoslava. A Sarajevo c’ero stato come giornalista, della pericolosità di girare per la capitale bosniaca (divisa in quattro come Vienna e Trieste ottant’anni fa) se ne parlava con l’ambasciatore Michele Valensise e con Vinko Puljić (oggi cardinale ed all’epoca arcivescovo cattolico bosniaco). Sarajevo era davvero pericolosa, e la versione ufficiale era che i cecchini fossero militari di fazioni opposte: veniva liquidata così questa brutta storia, ed è facile ipotizzare che pochi sapessero la verità. Homo homini lupus non è affatto un proverbio pessimistico, anzi sottolinea la tendenza umana all’aggressività ed alla mancanza di compassione: aspetti che caratterizzavano certamente l’essere umano di potere prima della modernità. Ai tempi di Charles Dickens l’impiccagione dei giovinetti poveri, colti a rubare per necessità, era uno spettacolo periodico, a cui assistevano i ricchi signori dalle loro carrozze in prima fila. Nel Vecchio Mondo era facile finire nel carcere di un signore, e la condanna a morte come le mutilazioni corporali erano le pene prescritte per la maggioranza dei delitti: per infrazioni lievi oltre alla fustigazione c’era il taglio della lingua, del naso, delle orecchie, della mano. Di tanto in tanto i signori tedeschi o inglesi erano soliti liberare i derelitti che detenevano nelle segrete, quindi invitare gli amici a partecipare ad un lauto banchetto e poi allo spettacolo della “caccia all’uomo”: i più lesti, davvero pochi, riuscivano a salvarsi, per gli altri c’era la morte sotto i colpi di balestre, archi, fauci di potenti cani, fucili, picche. Il “deutsch Drahthaar” era il cane preferito per la “caccia di sfiancamento” agli uomini, quindi i possenti molossi da corte garantivano che i fuggiaschi venissero sbranati.
Henry Addington, primo visconte Sidmouth e ministro dell’Interno nei primi anni della regina Vittoria, è stato certamente l’ultimo protettore di queste usanze. Dall’Inghilterra la caccia all’uomo, quindi a coloro ritenuti vagabondi, oziosi, autori di piccoli reati, s’è poi spostata nelle colonie. Ma il fenomeno è da far risalire alla notte dei tempi, perché ritenuta una sorta di caccia eletta, una caccia non per necessità: ancora oggi molti cacciatori uccidono daini o altre specie non certo per cibarsene. Quindi la “caccia all’uomo” coinvolgeva la classe dominante in una sorta di adrenalinica sfida: durante la guerra dei Trent’anni interi villaggi rurali subirono questo “gioco d’élite”. Del resto, il romanzo “Hunger Games”, che ha poi ispirato il film, trae in parte spunto dal mito greco di “Teseo e il Minotauro” (il re Minosse di Creta punisce Atene per la morte di un figlio richiedendo il sacrificio di 14 giovani) e poi dalla “caccia all’uomo” di retaggio germanico e anglosassone. Comunque, sconvolge che nel nostro tempo ci sia ancora gente che cerca queste emozioni.
Un ex 007 bosniaco ha raccontato l’orrore allo scrittore Ezio Gavazzeni che, a sua volta, ha scoperto che l’intelligence italiana avrebbe saputo circa 30 anni fa di viaggi dei “cecchini del weekend”: occidentali d’elevata classe sociale (tra loro anche italiani) che pagavano per andare ad uccidere gente comune, donne e bambini, nella Sarajevo assediata dai serbo-bosniaci. Passavano la frontiera a Trieste: oggi si confida possano emergere documenti d’identificazione, tracce del loro passaggio alla frontiera. L’identificazione dei cosiddetti “tiratori turistici”, ovvero assassini, è avvolta da fitta coltre di mistero, c’è chi teme possano emergere personalità del mondo dell’industria come dell’altissima finanza: è certo si tratti di gente scudata, con scorte private e protezioni.
Ma Ezio Gavazzeni va avanti, nei mesi scorsi ha depositato l’esposto alla Procura a Milano. È stato così aperto un fascicolo d’inchiesta per “omicidio plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà”. “I servizi bosniaci ˗ ha scritto l’ex agente segreto di Sarajevo ˗ hanno saputo del safari alla fine del 1993 (...) Abbiamo informato il Sismi all’inizio del 1994 e ci hanno risposto in due tre mesi: Abbiamo scoperto che il safari parte da Trieste. L’abbiamo interrotto e il safari non avrà più luogo”.
Anche lo 007 bosniaco lascia intendere si tratti di gente molto importante: “Non abbiamo ottenuto dal Sismi i nomi dei cacciatori o degli organizzatori, dovrebbe esserci un documento del Sismi che attesta che nella prima metà del 1994 a Trieste hanno scoperto il punto da cui parte e che hanno interrotto l’operazione”.
Dalle agenzie emerge che, dopo il deposito dell’esposto, gli investigatori hanno iniziato ad acquisire atti dal Tribunale penale internazionale dell’Aia sull’ex Jugoslavia. A queste battute di “caccia all’uomo” corre voce partecipassero esponenti del jet set internazionale, gente del bel mondo imprenditoriale, a rivelarlo è stato un soldato serbo che riferiva allo 007 bosniaco di aver assistito in prima persona al trasporto dei “cacciatori”: di aver capito di essere a cospetto di gente disposta a pagare grosse somme per partecipare al gioco. Il serbo era il “teste oculare” che parlava dei ricchi italiani che arrivavano da Milano, Torino e Trieste. Sempre l’ex uomo dei servizi bosniaci ha sostenuto che “durante la preparazione del documentario Sarajevo Safari del 2022 era prevista l’intervista con un pilota di elicottero che trasportava i cacciatori da Belgrado, ma prima delle riprese ha rinunciato perché sarebbe stato minacciato: temo non sia possibile trovare la corrispondenza tra il Sismi e i servizi segreti bosniaci”. “Non sono riuscito a trovarla negli archivi militari di Sarajevo, i documenti sono classificati come Top Secret”, sottolinea il bosniaco lasciando intendere che il “Top Secret” sarebbe dovuto al rango dei “cacciatori”.
L’ex sindaca della capitale bosniaca, Benjamina Karic, ha inoltrato un esposto alla locale magistratura, ma senza risultato. Gavazzeni ha anche chiesto agli inquirenti milanesi di verificare se presso l’archivio dell’ex Sismi esista copia della documentazione: è certo i servizi italiani abbiano archiviato quei nomi, perché li conoscevano al punto d’averli dissuasi dal continuare la “caccia all’uomo”. È certo i “turisti-cecchini” volassero con una compagnia aerea serba: all’arrivo trovavano ad aspettarli a Belgrado personale con esperienza militare che provvedeva a portarli a destinazione in elicottero: una simile assistenza ai “cacciatori” aveva costi altissimi, e certamente era nelle possibilità economiche di pochissimi. Nelle sue denunce l’ex prima cittadina di Sarajevo ha anche riferito la testimonianza oculare di un ufficiale dei servizi segreti sloveni che asseriva: “Per sparare a un bambino veniva versato un compenso monetario più alto”. Lo 007 sloveno avrebbe riferito di stranieri importanti ed ultra-protetti, soprattutto amanti della “caccia all’uomo”.
Un argomento che la politica volutamente evita, temendo inimicarsi persone molto in vista della nostra Europa finanziaria ed imprenditoriale. Il giornalista Luca Leone pubblicava nove anni fa I bastardi di Sarajevo, evidenziando crudeltà e spregiudicatezza dei carnefici, soprattutto come il sistema di complicità garantisse nessuna giustizia per le vittime. Questi “cacciatori” agivano con coperture internazionali, scavalcando i governi serbo, bosniaco, croato e sloveno. Si sono inseriti in una guerra fratricida, puntando sul fatto che la stampa accusasse di questi omicidi le varie fazioni in lotta nell’ex Jugoslavia. Per i potenti era un gioco, i morti solo numeri. E qui torna in mente la lezione di Mario Draghi, quando ci disse che “ci sono i potenti e poi i normali”, svelando l’illusione di giustizia sociale e democrazia che ancora appanna la mente della gente comune.
di Ruggiero Capone