Le biciclette di Quirino

lunedì 10 novembre 2025


Tanti, tanti topi di emeroteca si impegnano con molta diligenza a cercare criminali che, dopo una condanna definitiva, hanno destato nella magistratura sensi di tenerezza anche se non si sono mai pentiti nemmeno per un minuto. L’ultima in ordine di tempo ha raggiunto nei giorni scorsi quelli che ha ucciso, tre uomini di cui uno importante, Vittorio Bachelet, vice-presidente del consiglio superiore della magistratura, mentre gli altri due forse li considerava traditori: proletari più di lei,  stipendi all’osso, ma poliziotti, uomini che stanno dall’altra parte e si permettono di difendere le istituzioni. Perché per quelli come Anna Laura Braghetti, come Prospero Gallinari, brigatista e suo sposo in carcere, la democrazia è un punto di vista personale, un concetto rigorosamente estremistico: il parere della gente che soffre, che spera, che stringe la cinghia ma rispetta le regole, che vota sperando di compiere un minuscolo dovere, non conta niente.

È brutto infierire su una donna il cui cuore da qualche decina di ore non batte più. Ma, a parte la banale osservazione di chi dubita che abbia mai battuto, nel retorico connubio fra muscolo cardiaco e umanità, è difficile pensare che sia la pìetas latina a tradurre in automatico la parola ergastolo, quella che comparve nella sentenza, in 22 anni di reclusione. Ma, come in altri casi, improvvisamente sembrò che tanti avessero bisogno di lei, proprio di lei. Volontari, vittime di violenza (!), e, soprattutto, l’Arci. Dando prova di non si sa cosa, Anna Laura Braghetti rifiutò di chiedere sconti di pena, ma la magistratura, talvolta tanto, forse troppo umana, decise di restituire alla società una donna che aveva fatto di tutto per distruggerla, usando persino armi fabbricate dagli odiati americani, vedi Winchester calibro .32 contro Bachelet.

I social, fabbrica di menti super-specializzate in tuttologia, nei casi più eclatanti, si trasformano in tribunali implacabili nei confronti di malvagi e dintorni, dei quali  leggono frettolosamente le colpe. E le sentenze sono immediate, i particolari non servono ai divanisti professionali. Ma soprattutto è meravigliosa la classifica dei cattivoni, stilata a caldo bollente. Questa logica del ma anche, dell’allora quell’altro?, del dunque una strage è nulla in confronto a, renderebbe i tribunali qualcosa di superato, ergastoli e assoluzioni online, avanti un altro. I giudici-dentro non pensano che di volontari ex-assassini come la Braghetti ce ne sono forse troppi, ed è difficile immaginare che una conversione di pena o una condizionale terapeutica possano portare a redenzioni miracolose, e la consecutio fra un passato criminale e un presente cooperante sembra più un sogno di cervelli orientati che una realtà oggettiva. Ma chi si arroga il diritto di un codice penale self-made, perché non sperimenta confronti che la legge non contempla? Ad esempio, paragonare una brigatista assassina al ciclofilo Vivi Quirino.

Modena, anni Cinquanta. Ladri di biciclette è un film ancora attuale, e anche nella meno povera Emilia del dopoguerra i velocipedi spariscono con una frequenza preoccupante. Certo, rubare una bici è umano, però quattro o cinque al giorno sono forse troppe. Peccato che allora esistessero delitti e pene, mentre gli aspetti psicologici erano ampiamente secondari. Così gli anni di galera di Vivi Quirino, sommati, superarono quelli di rapinatori professionali e qualche volta pure violenti. Nessuna tessera-punti, nessuna comprensione, nessuno sconto, nessun sospetto che l’uomo avesse un problema psichico molto preciso, anche perché pare che nemmeno le rivendesse. Qualcuno era mosso a compassione per la sua vicenda: un funzionario della Procura della Repubblica, tale Luigi Spoto, gli parlava spesso, cercava invano di dissuaderlo dal continuare, e una volta convocò il suo avvocato. Insieme lo convinsero, lui giurò, spergiurò, e smise di rubare biciclette. Ma solo per il tempo di scendere le scale: uscito dal Palazzo di Giustizia aprì l’ingenuo lucchetto di una da donna, senza sapere che era della figlia del suo avvocato.

Oggi tutto questo fa sorridere, evoca tenerezza per quest’uomo, divenuto sommessamente famoso in città. Ma poi dimenticato, da quando l’ultimo tabarro è sparito nella nebbia padana. È un fatto che la somma delle sue condanne superò gli anni trascorsi in carcere da tanti assassini per i quali si sono cercate attenuanti spesso un po’ fantasiose. A questo punto, due domande: nel gioco della torre invitereste a casa vostra una come la defunta neo-cooperante Braghetti oppure un Vivi Quirino rischiando di dover prendere l’autobus il giorno dopo? Seconda questione: nelle città (vedi Roma) finte green, in realtà paralizzate dal traffico, si costruiscono piste ciclabili che strozzano quel po’ di circolazione che rimane: almeno una, la dedichereste a chi ha amato le biciclette sacrificando ad esse due terzi della propria vita?

Vivi Quirino Cycle path. Why not?


di Gian Stefano Spoto