lunedì 27 ottobre 2025
L’Idrosadenite suppurativa è una malattia infiammatoria cronica della pelle. Viene denominata “acne inversa”, poiché condivide con l’acne i noduli, gli ascessi, le cicatrici, ma che va oltre perché è più grave e debilitante sia per il fisico e sia per la mente. Purtroppo, nella maggior parte dei casi viene diagnosticata in ritardo. Nella Regione Lazio colpisce circa 60mila persone, tra cui molti giovani, portando con sé un pesante carico psicologico che compromette la vita personale, sociale e lavorativa. Una malattia complessa, favorita da una predisposizione genetica e aggravata da diversi fattori scatenanti, come il fumo, l’obesità e un’alimentazione sbilanciata, che oggi può essere curata con farmaci innovativi, tra cui secukinumab, un anticorpo monoclonale capace di bloccare l’interleuchina 17A, che riveste un ruolo centrale nel causare l’idrosadenite suppurativa e che ha appena ottenuto la rimborsabilità dal Servizio sanitario nazionale per questa indicazione terapeutica. L’inserimento nel Prontuario terapeutico della Regione Lazio di questa molecola e la sua conseguente disponibilità rappresentano un significativo progresso, poiché consentono di offrire ai pazienti un’opzione terapeutica in grado di migliorare la loro qualità di vita.
Come spiega la professoressa Nevena Skroza, specialista in Dermato-Venereologia alla Sapienza Università di Roma-Polo Pontino, “l’Idrosadenite suppurativa oggi viene curata secondo un algoritmo terapeutico che, a seconda della fase e della gravità della malattia, prevede l’uso di antibiotici topici o sistemici e di farmaci cosiddetti biologici o biotecnologici, nonché l’approccio chirurgico quando necessario. Da otto anni a questa parte sono in uso gli anticorpi anti-TNFalfa, ma ultimamente da qualche mese abbiamo anche la possibilità di utilizzare un anticorpo anti-interleuchina 17 A, che blocca la principale citochina pro-infiammatoria alla base della malattia bloccando l’infiammazione”. Un fatto è evidente: “La scelta terapeutica deve tuttavia essere valutata considerando non soltanto la gravità clinica, ma soprattutto la qualità di vita che nel paziente affetto da idrosadenite suppurativa è abbastanza compromessa”. Il riconoscimento precoce della malattia e un accesso tempestivo ai centri di riferimento e allo specialista restano tuttavia fondamentali. È essenziale poter contare su un approccio condiviso con un team multidisciplinare, che includa anche nutrizionisti, psicologi, chirurghi, terapisti del dolore e infermieri, per dare un concreto sostegno ai pazienti.
Come sottolinea il dottor Luca Fania, dirigente medico dell’Idi – Istituto dermopatico dell’Immacolata di Roma e docente presso la Link Campus Università di Roma, “l’obiettivo non è solo curare la malattia, ma anche restituire dignità e qualità di vita ai pazienti. La chiave è un approccio personalizzato e multidisciplinare per il singolo paziente, che unisce terapie innovative, supporto specialistico e ascolto. All’Idi è attivo da quasi dieci anni un ambulatorio dedicato esclusivamente a questa patologia, che oggi segue oltre mille pazienti, rappresentando un punto di riferimento nazionale. L’esperienza maturata dimostra come sia possibile superare l’isolamento e offrire nuove prospettive a chi convive con l’Idrosadenite suppurativa con una presa in carico condivisa”.
di Redazione