martedì 21 ottobre 2025
Che cos’è davvero l’educazione sessuale? In teoria dovrebbe essere una semplice spiegazione scientifica: cosa avviene nel corpo umano, perché avviene e quando avviene. Anatomia, fisiologia, pubertà, riproduzione, malattie sessualmente trasmissibili. Tutto qui. Una materia neutra, che informa senza condizionare.
Ma nella pratica, la realtà è ben diversa. Nei Paesi del Nord Europa – Regno Unito, Norvegia, Svezia, Germania – dove l’educazione sessuale è obbligatoria da anni (la Svezia è il primo paese al mondo ad averla introdotta), queste ore sono spesso diventate il pretesto per introdurre temi ben più complessi: mondo Lgbt, transessualità, percezione del genere, contraccezione, aborto. Argomenti che non hanno nulla di “scientifico” e che toccano invece la sfera morale, etica, spirituale.
E qui emerge il nodo centrale: su questi temi non esiste una verità unica. Una persona cattolica, come me, non affronterà mai la questione del sesso, della famiglia o della vita nello stesso modo di un ateo o di un agnostico. E io – come ogni genitore cattolico – ho il diritto e il dovere di educare mio figlio secondo la dottrina della Chiesa, senza interferenze dello Stato e senza alcun tentativo di indottrinamento laico.
E allora sì, ho tutto il diritto di non fidarmi dello Stato quando si parla di educazione sessuale.
Perché, se davvero si volesse restare nel campo della scienza, non ci sarebbe alcun problema. Anzi, non ci sarebbe proprio bisogno di lezione separate, dato che si potrebbe inserire all’interno del programma di scienze. Accetterei senza esitazione che un insegnante qualificato spiegasse, con linguaggio neutro, ciò che accade nel corpo umano. Ma poiché la realtà ci mostra che queste lezioni diventano spesso strumenti di rieducazione morale, ritengo legittimo chiedere garanzie.
Provo a lanciare una proposta semplice, logica, forse provocatoria: accetto l’educazione sessuale come spiegazione puramente scientifica (ammesso e non concesso che si possa fare), insegnata da persone con titoli accademici riconosciuti, ma chiedo che queste persone siano legate in qualche modo alla Chiesa, direttamente o indirettamente. Così si eliminerebbe il rischio di indottrinamento laicista e si preserverebbe la neutralità del dato scientifico.
A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare: “Ma una persona non cattolica non si fiderebbe di un insegnante cattolico, perché potrebbe introdurre argomenti religiosi”.
Ebbene, la logica va capovolta: se un ateo, un agnostico o un genitore non cattolico non si fiderebbe di un insegnante legato alla Chiesa – anche se preparato e qualificato – perché mai io dovrei fidarmi di un insegnante laico scelto dallo Stato? Perché dovrei fidarmi di chi rappresenta un sistema che, altrove in Europa, usa l’educazione sessuale per diffondere visioni ideologiche su genere, transessualità o aborto?
La diffidenza, allora, è reciproca e coerente. Se loro hanno il diritto di non fidarsi di un prete o di un educatore cattolico, io ho il diritto di non fidarmi di un funzionario laico imposto dallo Stato.
C’è un secondo caso ancora più delicato: quando l’educazione sessuale va oltre la biologia e diventa “educazione affettiva”. In queste lezioni si affrontano inevitabilmente temi come l’identità di genere, l’omosessualità, la transessualità e persino la definizione stessa di famiglia. Ma questi argomenti non sono neutri: toccano la dimensione più profonda della persona, la sua coscienza e la sua fede.
E se l’educazione sessuale diventa un terreno di battaglia morale, allora deve rimanere nelle mani dei genitori, non dello Stato. Nessun burocrate, nessun insegnante, nessun programma ministeriale può arrogarsi il diritto di sostituirsi ai genitori nel compito di educare i propri figli.
Permettetemi di affrontare la questione anche da un ulteriore punto di vista: spesso si presenta l’educazione sessuo-affettiva come antidoto alla violenza di genere. Ma è davvero così? La cronaca e i dati ufficiali raccontano un’altra storia. In Svezia, il primo Paese al mondo ad aver introdotto l’educazione sessuale obbligatoria già nel 1955, oltre il 40 per cento delle donne dichiara di aver subito almeno una volta nella vita violenza fisica, sessuale o psicologica. Più nel dettaglio, secondo i dati dell’European Institute for Gender Equality, circa 46 per cento delle donne ha subito violenza fisica o sessuale dai 15 anni in su, e il 42 per cento violenza da non‑partner.
Questi numeri dimostrano che la violenza contro le donne persiste anche in contesti con programmi scolastici avanzati di educazione sessuale. La violenza non nasce dall’ignoranza biologica, ma dalla perdita di riferimenti morali, dalla crisi dei valori e dalla debolezza della responsabilità personale. Nessuna “lezione di affettività” può sostituire la formazione morale e spirituale che i genitori possono offrire ai propri figli.
di Andrea Chiavistelli