venerdì 17 ottobre 2025
Il segno graduale della discontinuità
Il recente discorso di Papa Leone XIV al Quirinale, pronunciato davanti al presidente della Repubblica, e l’Esortazione apostolica Dilexi te, promulgata il 4 ottobre 2025, rappresentano due momenti emblematici di un pontificato ancora giovane, ma già capace di delineare un orientamento preciso: quello di una discontinuità misurata, reale e teologicamente consapevole rispetto alla stagione ecclesiale immediatamente precedente. Non si tratta di un gesto politico o di un artificio retorico, ma dell’avvio di una rifondazione spirituale e dottrinale che intende riportare la Chiesa al cuore della sua missione: custodire la verità ricevuta, testimoniarla nella carità e restituire all’autorità ecclesiastica il suo senso originario di servizio alla fede e non al mondo. Il discorso pronunciato al Quirinale ha mostrato, nel suo equilibrio e nella sua densità concettuale, la volontà del nuovo pontefice di reinserire il linguaggio ecclesiale entro i confini di una ragione teologica e naturale, lontana sia dalle infatuazioni populistiche del modernismo pastorale sia dalle deformazioni ideologiche di certo tradizionalismo sterile.
Parlare di dignità della persona, di tutela della vita “in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale”, di pace fondata sulla giustizia e sull’ordine morale, significa restituire al magistero pubblico della Chiesa un lessico universale, capace di coniugare la dottrina cattolica con la ragione comune, e dunque con il diritto naturale. Leone XIV non indulge alla retorica dei sentimenti o delle emozioni collettive, ma riprende la linea maestra di quella dottrina sociale che riconosce nella legge morale naturale il fondamento di ogni autentico ordine politico. L’Esortazione apostolica Dilexi te, pubblicata pochi giorni prima, conferma e approfondisce questa impostazione.
Sotto l’apparente semplicità del titolo, Ti ho amato, si cela una visione di Chiesa che intende riconciliare carità e verità, affetto e dottrina, misericordia e giustizia. Leone XIV parla dei poveri non come categoria sociologica, bensì come sacramento vivente della presenza di Cristo; denuncia le ingiustizie sociali non per indulgere in moralismi secolari, ma per ricordare che il peccato ha anche una dimensione strutturale e che la redenzione non riguarda soltanto le anime, ma l’intero ordine umano. In questa prospettiva, il Papa sembra voler correggere l’errata dialettica tra ortodossia e pastorale, riaffermando che la vera pastorale nasce solo dall’ortodossia e che ogni amore autentico presuppone la verità. Questa linea rappresenta una discontinuità graduale ma effettiva rispetto al pontificato di Francesco, iniziato nel 2013 e conclusosi nel 2025. Il nuovo Papa non intende demolire ciò che lo ha preceduto, ma ne corregge le deviazioni più gravi: il soggettivismo morale, la confusione dottrinale, la riduzione del messaggio cristiano a mero umanesimo sociologico. La sua non è la reazione dell’ideologo, quanto la paziente ricostruzione del teologo e del pastore, che sa che ogni riforma autentica nasce dal ritorno alla forma, ossia alla verità dell’essere. In tal senso, Papa Leone XIV si presenta come il primo pontefice dopo decenni a rimettere in rapporto organico il Depositum Fidei con la ratio fidei, restituendo alla fede cattolica la sua intelligenza e alla ragione la sua apertura al mistero. Il suo pontificato, pur con alcune scelte ancora discutibili o ambigue, mostra una volontà di ricomporre le fratture provocate da un periodo di grave disorientamento.
L’attenzione al linguaggio liturgico, la prudenza nelle nomine, la sobrietà nei gesti e nelle parole indicano il desiderio di ripristinare un senso di gravitas nel ministero petrino, lontano tanto dalla mondanizzazione dello stile quanto dalla teatralità del gesto mediatico. La discontinuità non si esprime in rotture clamorose, ma nella restaurazione silenziosa di una forma ecclesiale che non si piega all’opinione pubblica. Tuttavia, la riflessione sul pontificato di Leone XIV non può prescindere da una critica altrettanto severa rivolta a quanti, nel nome della tradizione, hanno trasformato la difesa della verità in un’ideologia oppositiva. I “papi” e gli “antipapi laici” del tradizionalismo integralista (concetto molto diverso da quello di fedeltà vera alla Tradizione), che da anni seminano divisione accusando ogni pontefice di apostasia e ogni Vescovo di tradimento, rappresentano una tentazione speculare a quella progressista: la tentazione di costruire una Chiesa a propria immagine. La verità cattolica, però, non è possesso di fazione né proprietà di interpreti autoproclamati e che hanno bisogno continuamente di legittimarsi; essa è dono ricevuto e trasmesso nella comunione visibile e gerarchica. Chi si proclama custode esclusivo della purezza dottrinale e, nel contempo, rompe la comunione ecclesiale, cade nello stesso errore di chi dissolve la dottrina nel compromesso con il mondo.
Sul piano teologico, questa pretesa di “custodire la verità contro la Chiesa” si rivela una forma di neo-donatismo, poiché suppone che la validità della Chiesa dipenda dalla santità soggettiva dei suoi ministri o dalla rettitudine dottrinale percepita da alcuni. Sul piano canonico, essa si traduce in una vera e propria negazione della costituzione divina della Chiesa, che è visibile e gerarchica per istituzione di Cristo. La Chiesa può attraversare periodi di confusione e di infedeltà, tuttavia essa non cessa mai di essere la Chiesa; può essere colpita dal peccato, ma non contaminata nell’essenza della sua missione. Chi ne esce, anche in nome della verità, tradisce la verità stessa, perché essa è inseparabile dalla carità e dall’unità. La visione di Leone XIV sembra invece muovere da un principio più alto: la riforma non si fa contro la Chiesa, ma dentro la Chiesa; la purificazione non consiste nella separazione, ma nella santificazione della comunione. Egli non ignora i mali che affliggono la comunità cattolica, ma li affronta con l’arma della verità e della prudenza, non con quella della ribellione o dell’invettiva. Questa via, lenta ma profonda, è la sola coerente con l’indole soprannaturale della Chiesa, che non si rigenera per rottura ma per conversione. Il diritto canonico, nella sua essenza, non è un sistema amministrativo, ma la forma visibile della giustizia nella Chiesa.
Esso presuppone la verità e la ordina nella carità. L’obbedienza canonica, lungi dall’essere cieca, è un atto razionale e teologico, fondato sull’armonia tra il precetto umano e la legge divina. Quando l’autorità ecclesiastica erra, il fedele ha il dovere di resistere, ma una resistenza che non spezza la comunione né abolisce l’autorità: resistere non è rifiutare, ma richiamare al fine stesso dell’autorità, che è la salvezza delle anime. È in questo senso che Leone XIV sembra voler ricomporre la frattura tra dottrina e disciplina, tra fede e legge, mostrando che l’obbedienza e la verità sono due forme di un’unica fedeltà: quella alla volontà di Dio. Nell’orizzonte della teologia e del diritto, il nuovo Papa sembra restituire al cattolicesimo la consapevolezza che la forma è sostanza, che la legge nasce dal Logos e che la carità senza verità è soltanto pietismo sentimentale. Non c’è contrapposizione tra la misericordia e la giustizia divina, quanto complementarità ordinata; non c’è opposizione tra l’obbedienza e la libertà, ma armonia quando entrambe si fondano sulla verità del bene.
Così, nella stagione della confusione, Leone XIV appare come un segno di continuità profonda e di riforma graduale vera: un Papa che non cerca di piacere agli uomini, bensì di ricondurre la Chiesa all’ordine della ragione e della grazia. Il suo linguaggio, il suo stile e i suoi primi atti sono il principio di una restaurazione silenziosa, che passa attraverso la riscoperta della legge morale naturale, della liturgia come atto di culto e non di espressione, della dottrina come carità intellettuale. In un’epoca in cui il clericalismo progressista e il laicismo tradizionalista sembrano gareggiare nel demolire la Chiesa dall’interno e dall’esterno, la figura di Leone XIV rappresenta la possibilità di un ritorno alla normalità cattolica: quella in cui la verità e la grazia coincidono e in cui la fedeltà alla Tradizione non è opposizione, ma obbedienza; non chiusura, ma radicamento; non paura, ma luce. Se è vero che ogni pontificato si misura non dal consenso ma dalla fedeltà, allora i primi mesi di questo Papa sembrano segnare un orientamento netto e promettente: quello di chi vuole, pur negli inevitabili errori, restituire al mondo una Chiesa che non si giustifica davanti all’uomo, perché sa di dover rispondere solo a Dio.
di Daniele Trabucco