Bacchetta nera

martedì 30 settembre 2025


Invece di gioire per la classifica dei ridicoli, dominata da una Boldrina che impone alle amanti una romanticissima firma preventiva, la destra inventa una bacchetta magica che mette in riga viole e tromboni lagunari. La reazione è ovvia, la cultura è di sinistra, dunque una Beatrice Venezi che comanda a Venezia non è ammissibile. Ma non è un problema di paronimia, il fatto è che l’ala conservatrice, ogni volta che ha il potere, è del tutto impreparata al concetto di lottizzazione, e riesce a commettere tutti gli errori previsti in questi casi, anzi, a inventarsene dei nuovi. Se imparasse dai dirimpettai, saprebbe che le nomine devono essere silenziose, sottobosco. Personaggi più grigi possibile che si mimetizzino nelle retrovie e scalano  i vertici senza essere visti né tantomeno etichettati. Se si insinuano in enti di spasso televisivo sanno come intrecciare protagonisti e temi caldi, lavorano nell’ombra e non sono quasi mai identificabili come manipolatori della mente umana.

Invece alla destra piacciono i simboli. La Venezi è fieramente un direttore, direttrici saranno quelle rosse degli asili nido emiliani. Classe Novanta, carina, elegante, gesti forse un po’ studiati, ma soprattutto è figlia di un post-fascistone, e questo la dovrebbe relegare al ruolo di capobanda che suona faccetta nera. Troppo appariscente per essere arruolata nella macchina della politica, troppo giovane per essere direttrice musicale di un teatro leggendario, troppo acclamata ad Atreju per far pensare che passasse di lì per caso. E poi la musica non è come lo sport, non si misura in millimetri come l’alto o in centesimi di secondo come la staffetta. Ma questo nulla toglie alla sua arte, anche se certamente, ora, persino i portatori di Amplifon si ergeranno a giudici implacabili mentre gli orchestrali sottolineano quello che lei non ha fatto. I governativi dicono non ancora, l’opposizione sforna  giudizi definitivi.

Pesano più le foto con Giorgia Meloni del ricordo di Herbert Von Karajan, il quale aveva il passato che aveva, ma la sua bacchetta era comunque sacra. Sembra, insomma, che qualcosa di importante dovesse essere tributato a questa Beatrice poco dantesca, che attira valanghe di invettive da soloni, musicanti, musicofili, e soprattutto da divanisti convinti che Franz Joseph Haydn fosse una bambina amica delle caprette. Chissà, magari la ragazza con la bacchetta doveva aspettare un attimo, ma la politica non segue il ritmo musicale e la tesi mai scritta dall’opposizione è che  la destra non sa allevare talenti. Oppure ha un senso di inferiorità rispetto alle capacità lottizzatorie della sinistra, che ha un vivaio, lo spalma con la sapienza dell’esperienza, e finge di ignorare i finti salti del muro.

Perché, soprattutto nelle retrovie dorate, è capitato spesso che i conservatori elargissero posti di primordine a finti pentiti di parte avversa, considerandoli come preziose prede di guerra. Peccato che, quando, in seguito, il vento bellico invertiva la direzione, i transfughi fossero spesso riaccolti con tutti gli onori. Perché in fondo, aveva ragione Giorgio Gaber a chiedersi che cos’è la destra, cos’è la sinistra. E soprattutto, chi ha il diritto di fendere bacchettate?


di Gian Stefano Spoto