lunedì 22 settembre 2025
Il 28 agosto 2025 Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo dal titolo quasi cinematografico: Making Federal Architecture Beautiful Again. L’idea è semplice e radicale: niente più edifici federali “brutti”, astratti, modernisti. D’ora in avanti si torna al neoclassico: frontoni, colonne doriche, cupole solenni e portici che ricordano la Roma antica. Un Pantheon federale, per decreto.
Ora, nulla contro le colonne. Ma il problema non è lo stile scelto – il neoclassico ha prodotto capolavori – bensì l’idea che la bellezza si possa imporre dall’alto, come se l’architettura fosse materia di regolamento più che di immaginazione, regola più che progetto.
L’architettura pubblica che ci emoziona e ci rimane dentro nasce da processi vivi, non da prescrizioni. Jane Jacobs lo ricordava sempre: le città funzionano quando evolvono attraverso interazioni spontanee, non quando vengono imbrigliate in schemi centrali. Un edificio pubblico non è un tempio isolato, ma parte di un ecosistema urbano. Imbalsamare lo stile significa imbalsamare la città.
E poi, diciamolo chiaramente: senza libertà progettuale non c’è architettura. Non perché manchi il progetto “pubblico” calato dall’alto, ma perché viene meno la possibilità per architetti, cittadini e committenti di confrontarsi, discutere, contraddirsi. È da quel confronto che nascono opere memorabili.
Firenze nel Rinascimento non è diventata un capolavoro urbano perché qualcuno impose uno “stile civico”. Le facciate non le decideva un comitato, ma le famiglie che gareggiavano a colpi di bellezza. Nessun manuale dettava la facciata di Palazzo Rucellai. E cosa sarebbe stato di Louis Kahn, costretto a rispettare il manuale della “bellezza federale”? Probabilmente non avremmo mai visto la Biblioteca di Exeter o il Parlamento del Bangladesh: edifici che non ripetono un canone, ma danno forma al silenzio e alla luce.
Ecco il paradosso: si dice di voler promuovere la bellezza, ma si finisce per distruggerla. Si finge di valorizzare l’architettura pubblica, ma la si trasforma in teatro civico da Instagram. Non più edifici per le persone, ma scenografie per il potere. Non più luoghi pubblici, ma fondali di cartapesta.
La bellezza – come la libertà – non si può prescrivere. Non nasce da un decreto, ma da un processo. È un ordine spontaneo, non un ordine esecutivo.
(*) Collaboratore Ibl
di Luca Minola (*)