lunedì 22 settembre 2025
Il 21 settembre 1990, in una calda mattina siciliana, la vita di Rosario Livatino fu spezzata dalla furia mafiosa. Aveva solo 37 anni, ma la sua integrità, la sua fede incondizionata nella giustizia e il suo coraggio lo avevano già reso un simbolo. Un “giudice ragazzino”, come lo definì Antonino Caponnetto, che con la sua giovane età e la sua tenacia aveva osato sfidare il potere criminale, pagando con la vita la sua fedeltà allo Stato e alla legge.
Nato a Canicattì (Agrigento) nel 1952, Rosario Livatino era un magistrato modello. Dopo la laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti all’Università di Palermo, entrò in magistratura nel 1978. La sua carriera fu rapida e segnata da un impegno costante e da una dedizione totale al suo lavoro. Fu sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Agrigento e poi giudice a latere, occupandosi di indagini scottanti sulla criminalità organizzata che in quegli anni stava stringendo la sua morsa sulla Sicilia.
Livatino era noto per la sua metodologia rigorosa, per la sua discrezione e per la sua capacità di scavare a fondo, senza timore reverenziale, nelle complesse trame mafiose. Non cercava la ribalta, ma la verità. Non si lasciava intimidire dalle minacce, che pure gli erano arrivate, preferendo la solitudine del suo impegno alla compromissione. La sua fede cristiana era profonda e guidava ogni sua scelta, conferendogli una forza interiore che gli permetteva di affrontare a viso aperto i pericoli del suo mestiere. Sul suo diario, spesso annotava le sue preghiere e le sue riflessioni sulla giustizia, intesa non solo come applicazione della legge, ma come servizio alla verità e all’uomo.
Il giorno della sua morte, Rosario Livatino stava percorrendo la strada statale 640, da Canicattì ad Agrigento, per recarsi in tribunale. Non aveva scorta, una scelta dettata dalla sua natura riservata e dalla convinzione che il suo lavoro non dovesse essere intralciato da eccessive misure di sicurezza. La sua macchina, una modesta Fiat 131, fu affiancata da un’altra vettura da cui partirono i colpi mortali. Morì sul colpo, vittima di un agguato mafioso che aveva l’obiettivo di zittire una delle voci più pure e coraggiose della magistratura.
L’omicidio di Livatino fu un colpo durissimo per lo Stato italiano, un altro attacco frontale al cuore della giustizia in un periodo già segnato da violenze e intimidazioni. Fu un atto di sfida, un messaggio chiaro e brutale da parte di Cosa Nostra a chiunque osasse intromettersi nei loro affari. La reazione del Paese fu di profonda commozione e indignazione, ma anche di rinnovato impegno nella lotta alla mafia.
Ricordare Rosario Livatino oggi significa molto più che commemorare una vittima. Significa celebrare un modello di etica professionale e di coraggio civile. La sua vita e la sua morte ci ricordano che la giustizia non è un concetto astratto, ma un impegno quotidiano, fatto di scelte difficili, di sacrifici e di una profonda fede nei valori dello Stato di diritto.
Livatino non fu un eroe da prima pagina, ma un “agricoltore della giustizia”, come amava definirsi, che lavorava con umiltà e tenacia per far germogliare i semi della legalità. La sua figura è un monito contro l’indifferenza e la rassegnazione, un invito a credere nella possibilità di un cambiamento e a lottare per esso. La sua beatificazione, avvenuta nel 2021, è il riconoscimento da parte della Chiesa cattolica del suo martirio per la fede e la giustizia, un ulteriore elemento che lo eleva a esempio universale.
L’uccisione di Rosario Livatino ha lasciato un vuoto incolmabile, ma anche un’eredità preziosa. La sua memoria è diventata un faro, specialmente per le nuove generazioni, che in lui possono trovare un esempio di integrità, di dedizione e di senso del dovere. Resta la consapevolezza che la lotta alla mafia è un processo continuo, che richiede vigilanza costante, coraggio e la capacità di non voltarsi dall’altra parte. Il suo sacrificio ha contribuito a rafforzare la consapevolezza civica, a ispirare l’impegno di tanti giovani che scelgono di dedicare la propria vita alla giustizia e alla legalità. Ogni scuola, ogni aula, ogni strada intitolata a Rosario Livatino è un richiamo costante a non dimenticare, a non cedere alla paura, a credere che un futuro libero dalla criminalità sia possibile.
Livatino ci ha insegnato che la vera forza non è nella violenza, ma nella perseveranza, nella coerenza e nella fede nei propri principi. Ci ha mostrato che è possibile, anche di fronte al pericolo più grande, rimanere saldi nella propria rettitudine. Per questo, la sua storia non è solo un doloroso capitolo della nostra storia, ma un inno alla speranza, un monito potente che continua a risuonare nella coscienza collettiva, spingendoci a costruire una società più giusta e libera.
di Alessandro Cucciolla