venerdì 1 agosto 2025
L’8 agosto 1991 una marea umana si riversò nel porto di Bari. Ventimila anime a bordo della nave Vlora, in fuga da un’Albania al collasso. Di fronte a un dramma umanitario di proporzioni bibliche, un uomo, il sindaco Enrico Dalfino, scelse la via del cuore e dell’accoglienza, sfidando le direttive di un governo impreparato e le aspre critiche del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. A più di trent’anni di distanza, quella giornata resta una cicatrice indelebile e un faro di speranza per la città di Bari, un’eredità custodita con tenacia dalla famiglia Dalfino e celebrata dall’arte, perché l’Italia non dimentichi.
Era una torrida giornata di agosto quando la Vlora, una nave mercantile partita da Durazzo, apparve all’orizzonte del porto di Bari. Non trasportava merci, ma un carico di disperazione e speranza: circa ventimila cittadini albanesi in fuga dalla fame e dal caos di un regime comunista ormai al tramonto. Le immagini fecero il giro del mondo: un formicaio umano che ricopriva ogni centimetro della nave, persone stremate, disidratate, ma con negli occhi la luce della ricerca di un futuro migliore.
L’eroe della porta accanto: il professor Enrico Dalfino
In quelle ore concitate, mentre da Roma giungevano ordini di respingimento, il sindaco di Bari, il democristiano e professore di diritto amministrativo Enrico Dalfino, pronunciò una frase destinata a entrare nella storia della città: “Sono persone, persone disperate. Non possono essere rispedite indietro, noi siamo la loro ultima speranza”. Con queste parole, il professor Dalfino si fece carico di una responsabilità enorme, ponendo l’umanità al di sopra dei protocolli e delle convenienze politiche. La sua fu una scelta di coraggio, di empatia, che incarnò lo spirito di una Bari che, pur colta di sorpresa, aprì le braccia e il cuore.
Le critiche feroci e l’isolamento politico
La presa di posizione di Dalfino non fu indolore. L’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, non esitò a definire “cretino” il sindaco, accusandolo di aver contravvenuto alle disposizioni del governo. Queste critiche, ingiuste e feroci, gettarono un’ombra immeritata sull’operato di un uomo che si trovò a gestire un’emergenza senza precedenti, spesso in solitudine. La frattura tra la solidarietà spontanea dei baresi e la linea dura imposta dalle istituzioni centrali fu profonda e dolorosa.
Il dramma umanitario e la risposta di Bari
Nonostante le difficoltà e la disorganizzazione iniziale, la macchina della solidarietà barese si mise in moto. I cittadini si mobilitarono, portando acqua, cibo e vestiti. Le parrocchie, le associazioni di volontariato e semplici cittadini si prodigarono per offrire un primo soccorso a quella folla di disperati, temporaneamente ammassati nello stadio della Vittoria in condizioni drammatiche. Fu una prova di grande generosità che segnò per sempre l’identità della città, trasformandola in un simbolo di accoglienza.
Un’eredità da non dimenticare: l’impegno della famiglia Dalfino
L’eredità di Enrico Dalfino, scomparso prematuramente nel 1994, è oggi custodita con amore e determinazione dalla sua famiglia. La moglie Anna, il figlio Giuseppe e la figlia Lidia si sono impegnati a mantenere viva la memoria di quei giorni e il messaggio di umanità del loro caro. Attraverso la loro testimonianza, continuano a ricordare l’importanza di non voltarsi dall’altra parte di fronte alla sofferenza. Giuseppe Dalfino, in particolare, ha spesso condiviso i suoi ricordi di quei giorni, sottolineando come quell’evento abbia segnato un punto di non ritorno per la coscienza della città.
“Sono persone”: l’arte che scolpisce la memoria
A testimonianza tangibile di quella storia, sul lungomare di Bari, in un largo ora intitolato Largo Sono Persone 8.8.1991, si erge l’opera dell’artista Jasmine Pignatelli. La scultura traduce in codice Morse la celebre frase del sindaco Dalfino, un monito perpetuo che si affaccia sul mare. L’installazione, che ha una sua gemella a Durazzo, rappresenta un ponte ideale tra le due sponde dell’Adriatico, un dialogo artistico che celebra l’accoglienza e la dignità umana.
Cosa resta oggi e perché l’Italia non può dimenticare
Lo sbarco della Vlora ha rappresentato per l’Italia un brusco risveglio, l’inizio di una nuova era in cui il Paese si scopriva terra di immigrazione. Quell’evento ha messo a nudo l’impreparazione delle istituzioni, ma ha anche rivelato la straordinaria capacità di solidarietà del popolo italiano.
Dimenticare la Vlora significherebbe dimenticare la disperazione di chi è costretto a lasciare la propria terra, l’importanza di un’accoglienza dignitosa e il coraggio di chi, come il professor Enrico Dalfino, ha saputo anteporre i valori umani a qualsiasi altra considerazione. In un’epoca segnata da nuove crisi migratorie e da un dibattito spesso avvelenato, la lezione di Bari e del suo “sindaco eroe” risuona più attuale che mai: di fronte a un essere umano in difficoltà, la prima, e unica, risposta possibile è riconoscerlo come tale. “Sono persone”.
E questo, l’Italia, non deve dimenticarlo mai.
di Alessandro Cucciolla