La protesta della scena muta e l’abbandono scolastico

lunedì 14 luglio 2025


Quattro ragazzi hanno deciso di fare scena muta agli esami di maturità 2025: uno studente a Padova, l’altro a Belluno e due in centro Italia. Il caso è alle cronache come “la protesta di Gianmaria e Maddalena” dai due nomi degli allievi che hanno voluto boicottare l’orale contro i criteri di valutazione. Una studentessa di Urbino ha chiesto che fosse messo agli atti il discorso letto alla commissione, in cui da rappresentante di classe con la media superiore all’8 aveva ricevuto 7 in condotta: “Sono stata punita per la mia attività. Quando ho espresso le mie critiche sono stata zittita, quel voto ha spento la mia motivazione”, ha detto.

Le contestazioni degli altri riguardano in particolare il metodo, che secondo gli oppositori tiene conto della nozionistica e non del livello di maturità della persona. Il dibattito si è infuocato. Bocciare, sono insorti i puristi scolastici, mentre docenti ed esperti come Paolo Crepet hanno sottolineato che poi “è la vita a dare i voti e bisogna abituarsi”.

Eduardo De Filippo recitava che “gli esami non finiscono mai”, dov’è finita questa verità? C’è anche chi ha compreso la provocazione: “Sono sicuro che dietro quel silenzio c’è un disagio per dire qualcosa ai professori. È bellissimo far sentire la propria voce, ma la protesta va fatta in un altro modo”, ha osservato Vincenzo Schettini, il professore influencer della pagina social “La fisica che ci piace”, il quale ha controproposto un orale eccellente e poi semmai il rifiuto del punteggio. Mentre Enrico Galiano, insegnate e scrittore, si è schierato apertamente dalla parte dei giovani: “Bisogna ascoltare il malessere e non solo punire”.

Sono lontanissimi gli anni della maturità del dopoguerra quando nonni e genitori ci raccontavano le ansie e le insonnie perduranti per una prova dura e inappellabile che comprendeva tutti e cinque gli anni, ma si dirà che era “il tempo del patriarcato”. E sono lontani anche i rivoluzionari anni Settanta del sei politico e gli effervescenti anni Ottanta del lieto vivere, che ci appartengono come le prime tappe del rovesciamento culturale che stiamo vivendo con i travagli delle nuove generazioni, le contraddizioni dell’essere nel vortice dei generi, del senso del dovere nell’era delle guerre e delle crisi economiche sotto la pressione delle invasioni straniere, che non sono indifferenti al corso scolastico.

A questo magma incandescente ha dovuto dare una risposta il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, il quale è stato netto: “Dal prossimo anno chi farà scena muta sarà bocciato”. Per ora non è accaduto poiché i ragazzi della protesta avevano ampie valutazioni globali, ma in futuro non sarà possibile far leva sui buoni voti nelle altre prove e nel corso degli anni. Sarà necessaria una modifica e il ministro assicura che sarà fatta: “Con questa norma voglio dare un forte messaggio in linea con la Costituzione. C’è un problema importante nella società italiana ed è il rapporto con la regola. Troppo spesso non è chiaro che la regola si rispetta, così come si rispettano le persone: all’esame ci sono commissari che dedicano il proprio tempo ad una funzione sancita dalla nostra Costituzione. Non si prendono in giro gli insegnanti, si rispetta il loro lavoro, si rispettano i compagni che hanno creduto in quel momento e si sono impegnati, che hanno provato ansia, stress, coltivato speranze, hanno dedicato mesi per prepararsi all’appuntamento. Devo rispettare il loro impegno, non posso farla franca se decido di fare scena muta”.
Tuttavia Giuseppe Valditara coglie anche l’appello estremo lanciato dai provocatori e annuncia una riforma dell’esame: “Ci pensavo da tempo – ha spiegato al Corriere della Sera – Intanto si chiamerà proprio Esame di Maturità e non più Esame di Stato introdotto venticinque anni fa da Luigi Berlinguer. I due scritti restano, mentre l’orale dovrà servire a valutare, oltre alle conoscenze e alle competenze che emergono già dagli scrutini di ammissione, il grado di maturità dello studente, quello che ha assorbito nel percorso scolastico, il suo grado di responsabilità e autonomia”.

Insomma, nulla è perduto. Quando i giovani vivono con passione è sempre positivo. Anche se ci sono estremizzazioni bisogna cogliere l’indirizzo evolutivo. Come è emerso negli exploit di fine esame celebrati al pari delle lauree con corone di alloro, foto, spumante e festeggiamenti. Se da una parte alcuni hanno boicottato, dall’altra chi ha superato la prova ha dato sfoggio sui social del traguardo non esente da critiche.

Solita manfrina esteriore, non è la laurea, questi parenti e amici pensano solo al superfluo”, hanno dissentito i duri. Vero, occorre una misura e la serietà non può essere scambiata per frivolezza, ma esiste anche un aspetto che non va smarrito. Per molti raggiungere l’esame di maturità è un vero banco di prova, non tutti andranno alle università, questioni economiche, livelli culturali, fragilità dei nuclei e dei giovani, per cui piuttosto che l’abbandono non è male considerare il diploma di scuola superiore una meta irrinunciabile.

Ecco, sarebbe necessario un cambiamento. Oggi la legge fissa a sedici anni l’obbligo scolastico, dieci anni di studio fino ai primi due delle superiori. Bisogna portarlo ai diciotto, alla maggiore età, come in Germania e perfino in Estonia la soglia è 17. Perché si registra un abbandono enorme, sottovalutato.

Un esempio non isolato: al liceo classico Prati di Trento è emerso che solo 1 studente su quattro arriva alla maturità e nelle pieghe della quotidianità è gigantesca la questione. Sono troppi i giovani che di fronte alle difficoltà rinunciano, gettano la spugna, si chiudono in sé, passano le ore nella cameretta davanti al telefonino, oppure finiscono nelle strade, la noia, la rabbia portano ad avvicinare ambienti pericolosi. Le famiglie sono ricattabili, incapaci di far fronte. Racconta una insegnante che ha chiaro il problema: “I genitori arrivano solo per protestare, i ricorsi sono lievitati, ma occorre l’acceso agli atti e un avvocato. Così al primo diniego dei figli, pur di non essere messi in discussione, sono pronti a ritirarli. Soprattutto tanti stranieri”.

Si parla di Ius Scholae, la possibilità di legare la frequenza scolastica alla cittadinanza, ma non si coglie il travaglio esploso nel mondo dell’istruzione con giovani provenienti da altre culture che arrancano e non riescono ad allinearsi a metodi e livelli didattici anche complessi. Si inizia con la dispersione, assenze prolungate, saltuarietà nelle interrogazioni, poi si arriva al ritiro.

Il dato nel 2023 era in calo, al 10,5 per cento, ma comunque sempre il più alto d’Europa. Particolarmente nel Sud e in questi due anni si è registrata una impennata. Oltre tutto non credano famiglie e drop out che basta comunicare la volontà di non frequentare pur avendo 16 anni, perché le norme prevedono in ogni caso obblighi formativi e percorsi professionali. Non ci illudiamo che questi giovani finiranno nel mondo del lavoro, piuttosto del lavoro nero, della disoccupazione, facilmente dello sfruttamento e della malavita.

Di fronte alle emergenze della cronaca come si può disattendere il problema dell’abbandono dal famigerato “pezzo di carta” che, sebbene non sia la laurea, comunque, definisce la competenza nella società tecnologica e delle intelligenze artificiali?  Chi aiuta questi ragazzi e ragazze nel loro disagio? Che fine ha fatto la figura del Tutor introdotto proprio nel 2022 col decreto 328?

Il tutor non è lo psicologo – commenta un dirigente scolastico – Gli studenti hanno bisogno di figure in grado di orientare i loro problemi, surrogare le competenze e il ruolo famigliare sempre più inadeguato, sostenere e indirizzare non solo come tecnici o amici, ma figure di tramite tra i docenti, lo studio, il dovere e lo sviluppo. Competenze nuove ma urgenti e necessarie”. Sempre che non finisca come con i tutor dei centri per l’impiego, un costoso scandaloso fallimento!

Ha ragione il ministro Valditara: “È un problema di regole e di conoscenza del profilo costituzionale italiano. Chi vuole partecipare alla società del domani, affermarsi e farne parte deve comprendere il senso dei doveri e la necessità di acquisire i titoli. Ci sono programmi, progetti e incentivi ma la politica e la società non devono dividersi e sfruttare le ansie giovanili, bensì unitamente contribuire a creare una coscienza culturale e formativa adeguata ai tempi. Contro la violenza, il disagio e le questioni economiche”.

“Seguo circa 444 studenti – spiega Anna Laviola, docente di religione al liceo statale Chris Cappel College di Anzio, studiosa della Sindone che ha collaborato a seminari e progetti sul tema, e posso dire che i più facilitati sono quelli che hanno nonni validi, perché la famiglia è sempre una struttura forte e necessaria. Dove non c’è e non ci può essere, la figura del tutor può essere importante per agire da sostegno tra il percorso scolastico e i problemi dello studente”. Non si parla di psicologo e di problematiche di genere, questo è un aspetto, la necessità è il risentimento diffuso.

La scuola ha programmi che vanno eseguiti, ma ai giovani non basta la lezione, l’interrogazione e il voto. E neppure parlare solo di doveri e regole o di parità e diritti, occorre ridistribuire i metodi di apprendimento perché molti giovani non sanno più studiare e nonostante i supporti digitali e i programmi faticano e disperdono tempo e impegno. Il fatto è che la classe docente è sommersa di progetti, di verifiche, di lavoro post-scolastico e non si trova il tempo di un dialogo profondo e umano. La professoressa Laviola cita Albert Camus del manoscritto postumo “Il primo uomo” laddove, ricordando il suo maestro di Algeri, scrive: “Col signor Bernard le lezioni erano sempre interessanti, per la semplice ragione che lui amava appassionatamente il proprio mestiere (…) La scuola nella classe del signor Bernard appagava una sete ancor più essenziale sia per il ragazzo sia per l’adulto, la sete della scoperta. Certo, anche nelle altre classi si insegnavano molte cose, ma un po’ come singhiozzano le oche”.  

Occorre insegnare la conoscenza, diffondere il piacere della competenza e affermare che la via della soddisfazione e della realizzazione passa per lo studio. Non c’è nella vita migliore occupazione e più solido sostegno, l’apprendimento è un bene e un privilegio, ma senza ingozzare gli studenti di compiti e nozioni come le oche.


di Donatella Papi