Aboliamo l’esame di maturità

mercoledì 9 luglio 2025


Perché gli studenti italiani vogliono scappare dalla nostra scuola? Moltissimi ragazzi, infatti, non vedono l’ora di finire il liceo o le superiori per poter scappare il più lontano possibile. Un motivo ci sarà! Dov’è che sbagliamo o abbiamo sbagliato? Questo sentimento di fuga dalla scuola è un vero e proprio fallimento del nostro sistema scolastico. E l’esame di Stato è il fallimento nel fallimento. Andrebbe abolito. È un vero e proprio disastro. L’esame, oggi, produce danni. Sul piano educativo e personale. Non insegna niente, non riconosce alcunché, non è significativo, non valorizza, crea contrasti e confronti, produce competizioni sfrenate, sminuisce e umilia. Infine, pretende addirittura di racchiudere tutto dentro un voto, un numero. Ma è un numero vuoto, che non dice nulla del ragazzo e schiaccia la creatività, la personalità, l’originalità, la genialità, la profondità. È un numero che non coglie la complessità di ogni singolo allievo. Ma perché l’esame di Stato, così com’è e com’era, crea spesso delusione e amarezza, ansia da prestazione e senso d’ingiustizia, nausea, repulsione, stress, svalutazione? Perché? Forse perché, in fin dei conti, l’esame di maturità, nella sostanza, è rimasto lo stesso imbroglio e intreccio di fili che si aggrovigliavano già nel lontano 1991, cioè da quando affrontai quella prova come studente.

Un incubo. Mi ricordo un esame insignificante e privo di senso, nel 1991, come se fosse composto da corde che annodano il candidato e bloccano lo studente, a volte lo soffocano, comunque lo legano a un giudizio, a un pregiudizio, al nozionismo, a un’imposizione dall’alto, a una vertigine, a un verticismo gerarchico, a un voto, a una prestazione, a un rimprovero, a un errore, a un’inadeguatezza, a uno schema mentale, a un meccanismo infernale, a uno stereotipo, a una pressione emotiva, a un approccio punitivo. È rimasto tutto esattamente così. Come nel 1991. C’è un vecchio sistema scolastico completamente inadeguato che sta dando gli ultimi colpi di coda e che crea dei danni indicibili agli studenti, ai ragazzi, alle persone. E delegittima tutto il lavoro compiuto dai ragazzi nel corso della propria crescita umana, culturale, emotiva, spirituale, intellettuale. E lascia un segno negativo nei nostri allievi. Provoca ferite e crea disamore verso la scuola. A cominciare dall’esame di Stato. Invece, la scuola dovrebbe essere amore. l’esame di maturità non dovrebbe servire a misurare il nozionismo o l’erudizione degli studenti, non dovrebbe servire a giudicare i ragazzi, se non in modo accogliente e del tutto marginale, ma dovrebbe muovere i docenti esaminatori ad aprire la mente, ad ascoltare le parole e i silenzi dei ragazzi, a dare valore alle qualità degli allievi, a valutare (cioè a dare valore) e non a giudicare, a capire e a favorire le qualità di ogni singola persona, lasciar esprimere i ragazzi secondo le loro attitudini e il loro talento, secondo il loro modo di vedere e sentire le cose, il loro modo di elaborare le idee e di esprimerle, cioè comprenderne l’autenticità del pensiero e la riflessione, coglierne la forza emotiva e sentimentale, la profondità, l’estro, la capacità d’analisi, il senso critico, il silenzio, l’intuizione, la fantasia, lo sguardo, l’amore, i rimandi, i collegamenti, i parallelismi, l’autonomia di pensiero, i sogni, le sensibilità, le diverse intelligenze, il percorso di ricerca, l’esperienza esistenziale, la maturazione interiore, l’impegno sociale, l’essere cittadinanza attiva.

All’esame di maturità dovrebbe essere lo studente ad esprimersi e ad essere protagonista, ad essere sé stesso, a potersi esporre senza timore di essere umiliato o deriso, senza sentirsi giudicato, ma amato, stimolato, valorizzato nella sua unicità. Invece, ancora oggi, come accadeva nel 1991, è il docente il protagonista, è il docente che sale sul pulpito, in cattedra, ed esamina, giudica e punisce, colpisce, interroga, condanna, svaluta lo studente. Non è più questo il ruolo di noi professori. Lo dico anzitutto a me stesso. Oggi, un insegnante è un educatore. Non un caporale, per dirla alla Totò. Un insegnante, nel 2025, dovrebbe svolgere un compito diverso rispetto a quello che svolgeva nel 1991. Le società si evolvono e crescono, migliorano e progrediscono nella consapevolezza individuale e sociale, nella teoria e nella pratica educativa, psicopedagogica, maieutica, didattica, culturale, formativa. Invece, nella realtà scolastica di tutti i giorni, in Italia, esistono e persistono ancora dei colpi di coda micidiali che vengono da un vecchio sistema ormai superato dai fatti, un sistema scolastico chiuso, obsoleto, liberticida, coercitivo, insensibile. È un disastro. E la responsabilità è politica, cioè del Potere dominante. A destra come a sinistra, al centro come altrove. Da decenni. Fermiamoci un attimo, ragioniamo insieme, riflettiamo con amore, apriamo un dialogo costruttivo, troviamo il coraggio di superare le paure e pensiamo anche agli insegnamenti che ci vengono da Don Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Gianni Rodari, Maria Montessori, Luigi De Marchi, Daniela Lucangeli. Soltanto per restare in Italia.


di Pier Paolo Segneri