Il caso Garlasco prova la barbarie della pena di morte

lunedì 26 maggio 2025


Sinceramente, chi scrive ritiene che la cronaca nera non andrebbe esposta in prima pagina. Una volta esisteva una pagina interna dedicata. Ciò per ridurne l’effetto ispiratore di menti insane. Dopo anni d’esercizio dell’avvocatura, inoltre, sono convinto che non possa esistere una narrativa realmente informata. Occorrerebbe che il giornalista avesse sul tavolo i fascicoli d’ufficio, non pubblici. In questo caso, un uomo giovane, all’epoca dei fatti un ragazzo, ritenuto colpevole, sta scontando una pena in carcere da diversi anni. È possibile che le prove all’epoca non considerate, o rilevate successivamente, potrebbero scagionarlo e indicare la responsabilità di altri.

Per queste ragioni, emerge con evidenza il motivo della ferma convinzione in chi scrive, dell’inammissibilità della pena di morte. Anche se la pena capitale non è meno dolorosa di un ergastolo con “fine pena mai”. A meno di una conversione monastica di clausura maturata in corso di detenzione, e allora una cella vale l’altra, il detenuto trascorre una vita terribile tra le sbarre. Un fatto è certo: la morte rende irrimediabile l’eventuale errore giudiziario. In questi giorni sono stati spesi fiumi d’inchiostro per attaccare l’inettitudine presuntivamente dimostrata dal pubblico ministero nel valutare le prove, ma tutti gli esseri umani, anche accusatori, inquisitori o giudici, magistrati o avvocati, possono sbagliare e in certi casi è gravissimo. È ancora più grave, però, rendere lo sbaglio irreparabile.


di Riccardo Scarpa