Il pontefice Francesco

martedì 29 aprile 2025


Ho studiato dai gesuiti, a Messina, Collegio Sant’Ignazio, non da interno: mancava questa condizione. Una scuola normale con gli orari consueti. Ma tornavo nel pomeriggio a vedere i sacerdoti, a giocare il tennis da tavolo, pallavolo, stare insieme. Una scuola, una casa, la frequentazione totale, memorabile. I gesuiti hanno la vocazione sociale, educativa, non vogliono apparire prepotenti e convincenti in maniera pressante ma sono abili a disporre condizioni attraenti allo stare insieme: influenza indiretta. Breve intervallo nell’orario scolastico, per il rosario, per la colazione. Tornavo in classe. Ripeto, furono i momenti più memorabili della mia vita di ragazzo. Quando finì il liceo, Ferdinando Salleo, nipote di Gaetano Martino e futuro ambasciatore italiano a Mosca e a Washington, e io fummo chiamati dal rettore che mai vedevamo, al piano superiore di uno stupendo salone, su Piazza Cairoli. Magro, ascetico, di pochissime parole, disse a Ferdinando e a me che eravamo i migliori studenti e dovevamo affermare le nostre qualità, e ci salutò. Niente di più. Ferdinando si stabilì a Roma, successivamente anche io.

Ferdinando iniziò la carriera diplomatica, io docente e scrittore. Passarono anni e venni in rapporto con i gesuiti, in specie un amabilissimo sacerdote siciliano come me, l’indimenticato Virgilio Fagone, esperto in filosofia, maledettamente gravato di una malattia che sterminava la sua famiglia al cinquantesimo anno. Così fu. Un rimpianto inguaribile. Ci incontravamo spesso, nella sede di Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, mi sembrava di stare in un luogo sospeso di un altro mondo, mobili antichi, tendine trinate, voci caute, a modo, signorilità. Conobbi ancora meglio i gesuiti, un ordine militare sebbene religioso, a capo il generale, responsabili provinciali, altre forme gerarchiche, obbedienza implacabile al superiore e di tutti al pontefice. I gesuiti nacquero al tempo in cui si discuteva il primato del pontefice da parte dei protestanti. Ogni gesuita si specializza in un compito, e non si bada al costo e alla fatica per essere addottrinati: l’obbedienza è netta. Celebre l’espressione secondo cui un gesuita deve rendersi obbediente come un cadavere. Primario scopo dei gesuiti è l’insegnamento, a differenza dei salesiani che educano a un mestiere. I gesuiti educano alla cultura e si orientano a ceti superiori, formano o formavano la classe dirigente fin dall’inizio, e, pure se difensori della fede sono fortemente legati alla cultura classica greco-romana e tuttavia mondialisti “missionari”. Quando fu eletto papa Jorge Mario Bergoglio, e si presentò a Piazza San Pietro, con il suo aspetto rustico salutando i fedeli con il suo “Buonasera”, mi spiacque moltissimo. Sono un cattolico culturale. Quanto il Cattolicesimo ha contribuito all’arte lo pareggio alla Grecia e a Roma antica. La capacità iconica, espressiva, di musica, pittura, scultura, architettura, letteratura del Cattolicesimo non è insuperata. Essere a un tempo popolare e aristocratico. È questo lo strabiliante merito del Cattolicesimo. Mantenere elevatissimo il traguardo di civiltà e avere fedeli anche umili. Quel “Buonasera”, a voce di un vicario di Cristo mi sembrò condiscendente in basso.

Uno che vuole farsi bonaccione, come gli altri. Ho avuto rapporti, non di persona, ma intensi culturalmente, con Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, mi gradiva Giovanni Paolo I. Paolo VI tramite un monsignore, Sante Montanaro, favoriva Opera aperta, un’interessantissima rivista che io di fatto dirigevo e che favorì il dialogo di credenti e non credenti. Giovanni Paolo II leggeva i miei libri, in una foto sbandiera il libro La quarta scelta. Era in amicizia con il mio fraterno editore Salvatore Dino, che fu il primo a organizzare una raccolta di scritti appena eletto Giovanni Paolo II, indicativo di proposte: Papa Wojtyla. Una certezza. Dino fu editore di libri d’arte preziosi, e ne concepì molti per Papa Benedetto XVI. Joseph Aloisius Ratzinger, da cardinale veniva a Palazzo Colonna, ospite di Rebecchini, per conferenze. Persona garbata, fine nelle analisi, signorile. Il “Buonasera” da compagnone stonava, scemava la solennità pontificale. Non mi piacque, non degno di un papa. Successivamente ho seguito, per quanto potevo, l’attività di Papa Francesco. Il suo è stato un discutibile eccesso di attenzione verso i migranti da ricevere, anche per la nostra denatalità.

In realtà, avrebbe dovuto consigliare a generare noi maggiormente. Mi dispiacque radicalmente la defenestrazione della messa in latino. Di colpo, quando si impennò la guerra in vari luoghi, massimante Ucraina-Russia, Papa Francesco divenne il personaggio superiore mondialmente riconosciuto che agiva in nome della pace, coraggiosamente svelando perfino quali pessimi affarismi possono celarsi nelle false manifestazioni di guerre giuste. Ad esempio, affarismo di vendita di armi. Il modo insistente, convinto, accorato di denuncia della morte per guerra e di guerra affaristica lo rese personalità eminente del nostro torbido momento. Che concepisse attenzione ai popoli non europei. Io considero il Cattolicesimo eminentemente europeo, il primato della persona. Ma un pontefice ha lo sguardo mondiale e coglie che l’Occidente si desacralizza e denatalizza. Certo, occorrerebbe risacralizzarlo e rinatalizzarlo. Non sarà facile. In ogni caso, ampliare la sfera del Cattolicesimo è un compito grandioso e il pontefice vi si dedicò insieme all’altro grandioso compito, la pace, che è il coraggio di vivere non viltà come gli affaristi ci vorrebbero far credere. I suoi giorni estremi lo hanno stretto alla comprensione umana. Ho vissuto anch’io la polmonite bilaterale, l’impossibilità del respiro, e fui in coma 19 giorni. Ho seguito immedesimato la vicenda del pontefice, talvolta pensando di finire i patimenti, una respirazione faticosissima e quasi inesistente, non continuare l’affanno, talvolta immaginando che un minimo di respiro era comunque vita.


di Antonio Saccà