lunedì 28 aprile 2025
Aprile 1945 – aprile 2025: 80 anni dopo, a più di tre generazioni dalla Liberazione, cosa sappiamo con esattezza del sanguinoso epilogo di quei giorni, e soprattutto della fucilazione (il 28 aprile) di Benito Mussolini e Claretta Petacci, e dei gerarchi prigionieri sul lungolago di Dongo (dei quali, vari probabilmente non meritavano quella fine, secondo lo stesso Ferruccio Parri)? Ancora oggi, specie sulla prima esecuzione, restano poche certezze e forti dubbi, che sollevano una ridda di ipotesi. Anzitutto, al di là della trionfalistica presentazione che Pietro Nenni, il 28 marzo 1947, in un comizio alla Basilica di Massenzio a Roma avrebbe fatto del ragioniere partigiano Walter Audisio, accreditandolo ufficialmente come fucilatore di Benito Mussolini e Caretta Petacci, tuttora non conosciamo con certezza la vera identità del “Colonnello Valerio”. Secondo Urbano Lazzaro/Bill, il partigiano, vicecommissario della 52 brigata Garibaldi, che il 27 aprile del 1945 aveva catturato Mussolini, Valerio non era Audisio, ma – come scritto nel suo libro del 1993 Dongo, mezzo secolo di menzogne – il ben più carismatico Luigi Longo, numero 2 del Pci. E proseguendo (seguiamo, qui, la ricostruzione del parlamentare Franco Servello e del giornalista Luciano Garibaldi nel saggio del 2010 Perché uccisero Mussolini e Claretta, Rubbettino editore), esisteva un preciso, formale ordine di fucilare Mussolini e i suoi ministri e alti funzionari?
Unica norma specifica che il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai), presieduto dal socialista Rodolfo Morandi, doveva rispettare, era il Ddl 142 del 22 aprile, che si limitava a prevedere il deferimento di Mussolini e degli altri massimi dirigenti della Rsi alle istituende CAS (Corti d’Assise Staordinarie). A questa procedura, pur ammettendo di volere a tutti i costi una pena capitale per gli imputati, ribadiscono di volersi attenere Sandro Pertini, Leo Valiani, Ferruccio Parri e altri importanti esponenti del Clnai. La scelta di fucilare invece Benito Mussolini e Clara Petacci in fretta e furia, senza neanche una parvenza di processo penale (come almeno sarà, molti anni dopo in Romania, per Nicolae Ceaușescu e la moglie), dopo una notte di detenzione nella casa della famiglia De Maria a Bonzanigo, frazione del Comune di Tremezzina in provincia di Como, è squisitamente politica, nel clima spietato di quei giorni.
Logico corollario del crollo di un regime ormai condannato dalla storia e dal suo popolo, la definirà, nel dopoguerra, un politico come Giorgio Amendola, citando anche i precedenti storici di Carlo I d’Inghilterra, Luigi XVI di Francia e Nicola II di Russia, “un errore”, si limiterà ad osservare (su Panorama, se non erriamo), nel 2005, Massimo D’Alema.
Ma diverse, nei resoconti ufficiali sull’eliminazione di Mussolini e Petacci, sono le cose che non tornano. Secondo il memoriale dettato da Walter Audisio a l’Unità, e da questa in più puntate pubblicato, sull’edizione romana, tra il 18 novembre e il 17 dicembre 1945 (memoriale che, secondo la “vulgata” ufficiale comunista, doveva passare a tutti i costi alla storia, rafforzato molti anni dopo, a gennaio 1996, dalla divulgazione di un rapporto del 1945 di Aldo Lampredi, alto funzionario del Pci già presente all’esecuzione di Giulino), il Duce e la sua amante sarebbero stati fucilati nel primo pomeriggio del 28 aprile, dopo aver consumato, a mezzogiorno, un frugale pasto sempre in casa De Maria. Ma – ricordano sia Servello e Garibaldi che il criminologo Pierluigi Baima Bollone, a lungo docente di medicina legale all’Università di Torino (e autorevole specialista della Sindone), nel suo libro del 2005 Le ultime ore di Mussolini (Mondadori) – l’autopsia del Duce fatta, il 30 aprile del 1945, dal patologo Caio Mario Cattabeni, in seguito direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Ateneo milanese, rileva che nello stomaco del defunto non c’era alcuna traccia di cibo: il che suggerisce che Mussolini sia stato invece fucilato, con la sua amante, ben prima di mezzogiorno del 28 aprile.
Ma già Urbano Lazzari, “Bill”, nel suo libro del 1993, aveva collocato la morte del Duce al mattino del 28 aprile dinanzi a casa De Maria a Bonzanigo (e non, come da tanti ripetuto nel dopoguerra, alle 16:30 davanti al cancello di Villa Belmonte, abitazione privata, a Giulino); e per mano di Luigi Longo, e non di Audisio. E ancora prima (1978), nell'ormai ormai classico, Vita e morte segreta di Mussolini (Mondadori), il giornalista e storico Franco Bandini era già arrivato a queste conclusioni, deducendone che il pomeriggio di quello stesso 28 aprile 1945, davanti Villa Belmonte, era stata inscenata una finta fucilazione: quella di due cadaveri, divenuti tali da poche ore.
Nel 1996, infine, il colpo di scena decisivo: il giornalista Giorgio Pisanò (già giovane combattente nella Rsi, poi distintosi, come direttore del settimanale Candido, fortemente richiamantesi allo storico periodico guareschiano, in importanti inchieste su “scandalo dei petroli e dintorni”, nonché il caso di Roberto Calvi), pubblica il libro, frutto di decenni di inchieste sui fatti dell’aprile 1945, Gli ultimi 5 secondi di Mussolini (Milano, Il Saggiatore). Raccogliendo la dettagliata testimonianza di Dorina Mazzola, vicina dei De Maria a Bonzanigo, secondo la quale Mussolini e Petacci furono uccisi appunto la mattina del 28 aprile, sotto casa De Maria. Su tutta questa vicenda, rilevava Renzo De Felice nel 1995, pochi mesi prima della morte, continuano ad accavallarsi “ombre, interrogativi, in qualche caso ancora paure” dei pochi testimoni oculari rimasti.
Ma De Felice, ha ricordato ultimamente l’altro storico Claudio Siniscalchi, “era andato sempre più convincendosi che le ultime ore di Mussolini furono l’esito di uno scontro fra i servizi segreti alleati (britannici anzitutto, ndr.) in collaborazione con alcuni segmenti della Resistenza”. Sapremo mai la verità piena? O questo, insieme all’altro giallo dell’oro di Dongo, resterà, per la nostra Repubblica, un altro “peccato originale”?
di Fabrizio Federici