martedì 4 marzo 2025
Nella fisica quantistica, il collasso della funzione d’onda – il passaggio da uno stato di sovrapposizione a uno stato definito – è un processo non determinato da cause precedenti. Se, come suggeriscono Penrose e Hameroff nella loro teoria Orch-OR (ipotesi non ancora confermate, ma utili per riflettere su questi fenomeni), i processi quantistici nei microtubuli cerebrali influenzano la coscienza secondo schemi neurali consolidati, la mente umana gioca un ruolo attivo nello “scegliere” tra stati possibili.
Henry Stapp argomenta che l’osservazione cosciente può influenzare gli esiti quantistici, offrendo una base scientifica per il libero arbitrio. Infatti, scrive in Mind, Matter, and Quantum Mechanics: “La mente non è un epifenomeno passivo, ma un agente attivo che interagisce con la realtà quantistica”. Questa ipotesi è controversa e critici come Patricia Churchland sostengono che la casualità quantistica non garantisce il libero arbitrio, poiché una scelta casuale non equivale a una decisione intenzionale o razionale. Fermo restando i dubbi che in questa materia non mancano mai, possiamo immaginare che l’entanglement e la sovrapposizione creano un sistema di interdipendenze così forti da rendere il libero arbitrio un fenomeno emergente e radicato nelle interazioni tra individuo, ambiente e rete sociale.
Le particelle subatomiche esistono in stati di sovrapposizione, occupando molteplici possibilità simultaneamente fino a quando non vengono osservate o misurate: il momento in cui si materializzano in uno stato definito. Questo avvenimento non è determinabile in anticipo, così come descritto dal principio di indeterminazione di Heisenberg, per cui tra i tanti possibili stati solo uno, quello tenuto sott’occhio, si realizza. Se si applica questa impostazione alla mente allora la coscienza emerge dalla cristallizzazione di un unico stato dei tanti possibili nei microtubuli (teoria Penrose e Hameroff) e il cervello diventa un agente attivo che influenza la concretizzazione di questi stati, offrendo così il presupposto per il libero arbitrio.
Pertanto, le decisioni umane non sono predeterminate, come nel modello classico newtoniano, né interamente casuali, ma si originano da un’interazione tra caos quantistico e osservazione cosciente (il pensiero che osserva il pensiero). Come afferma Friedrich Nietzsche ne Frammenti postumi i pensieri emergono come fulmini, e noi li vediamo solo dopo che hanno colpito. Un esempio: quando una persona decide di accettare un’offerta di lavoro, il suo cervello si trova in uno stato di sovrapposizione tra diverse opzioni (accettare, rifiutare, rimandare). L’atto di decidere è un collasso guidato dalla coscienza e dall’identità personale a sua volta collegata a fattori interni (emozioni, memorie) ed esterni (contesto sociale).
Altro aspetto cruciale è l’entanglement (l’intreccio), che nella Descrizione Quantistica dell’Identità collega parti, memorie, emozioni e persino persone lontane nel tempo e nello spazio. Questo principio ci dice che le scelte di un individuo sono influenzate anche da quelle di altri e dall’ambiente, e quindi il libero arbitrio si manifesta in parte come un processo interconnesso. Ad esempio, una decisione presa in una relazione affettiva (come sposarsi o separarsi) influisce non solo sull’identità dell’individuo, ma anche su quella del partner, creando un sistema di ritorno quantistico.
David Bohm, fisico teorico, ha esplorato un concetto simile nella sua teoria dell’ordine implicato, sostenendo che l’universo è un tutto interconnesso in cui le scelte individuali riflettono dinamiche più ampie per cui in Wholeness and the Implicate Order, Routledge ci dice che l’indeterminazione quantistica non è caos, ma una manifestazione di un ordine sottostante che collega tutti gli elementi dell’universo, inclusa la mente umana.
Se accettiamo che l’indeterminazione quantistica contribuisca al libero arbitrio, allora è la coscienza che ha un ruolo attivo nella manifestazione della realtà.
Il libero arbitrio diventa un’espressione della continua evoluzione dell’identità: non è completamente casuale, né completamente determinato, ma emerge dalla tensione creativa tra indeterminazione quantistica e coerenza cosciente.
L’interazione tra coscienza e processi quantistici è un tema affascinante e complesso che si trova al confine tra fisica quantistica e filosofia della mente. Due teorie particolarmente interessanti ne esplorano il legame una è la “Consciousness Causes Collapse” (proposta da John von Neumann ed Eugene Wigner) e l’altra è la “Quantum Bayesianism” (QBism), entrambe incentrate sul ruolo dell’osservatore nei fenomeni quantistici.
La prima sostiene che la coscienza giochi un ruolo cruciale nel determinare gli esiti dei processi quantistici: il mondo quantistico rimane indefinito finché una mente consapevole non interviene. L’osservatore non è un semplice spettatore passivo, ma un agente attivo: “sceglie” quale stato della realtà si deve cristallizzare. Ad esempio, un elettrone in sovrapposizione non ha una posizione definita finché una persona non lo osserva, determinandone lo stato. La realtà fisica non esiste in modo oggettivo e indipendente, ma la mente umana ha un ruolo fondamentale nella materializzazione della realtà.
L’altra teoria, la “Quantum Bayesianism, o QBism”, ci dice che le probabilità quantistiche sono credenze soggettive dell’osservatore, piuttosto che descrizioni di una realtà oggettiva. Sviluppata da Christopher Fuchs, docente di Fisica presso l’Università del Massachusetts a Boston, quest’ultima si ispira alla statistica bayesiana, dove le probabilità riflettono il grado di fiducia di un individuo e si aggiorna con nuove informazioni. In QBism, la meccanica quantistica non descrive il comportamento intrinseco di un sistema, ma le aspettative dell’osservatore su quel sistema. Quando si misura una particella, il risultato non rivela una proprietà oggettiva della particella, ma aggiorna le credenze personali di chi osserva. Ad esempio, se un fisico misura la posizione di un elettrone, il “collasso” della funzione d’onda non è un evento fisico reale, ma un cambiamento nella conoscenza dell’osservatore basato sul risultato della misurazione.
La QBism elimina il bisogno di un collasso oggettivo della funzione d’onda, risolvendo alcuni paradossi quantistici. La realtà quantistica diventa una questione di prospettiva individuale: non esiste una “verità” assoluta indipendente dall’osservatore e questo sposta il focus della meccanica quantistica dalla descrizione della materia alla comprensione della conoscenza umana.
Nella “Consciousness Causes Collapse”, la coscienza è un fattore “causale” che modifica attivamente la realtà fisica. In QBism, l’osservatore è un interprete che aggiorna le sue credenze, senza necessariamente influenzare il sistema quantistico. La teoria di von Neumann-Wigner implica che la realtà sia co-determinata dalla coscienza, mentre QBism suggerisce che essa esista indipendentemente, ma sia conoscibile solo attraverso una lente soggettiva. La “Consciousness Causes Collapse” attribuisce alla coscienza un potere diretto sui processi fisici, mentre QBism non specifica se la coscienza sia essenziale, concentrandosi invece sull’esperienza soggettiva. Come sosteneva Nietzsche il mondo che ci appare è solo una superficie e un segno; tutto ciò che noi conosciamo e sentiamo è interpretazione, non verità.
Le due teorie sono diverse ma complementari: ci dicono infatti che la realtà si manifesta in relazione alla nostra osservazione che però ci restituisce un dato filtrato dalla nostra soggettività. Il punto d’unione tra le due teorie è il fatto che la coscienza non è un semplice prodotto passivo del cervello, ma un agente attivo capace di influenzare e poi interpretare il collasso degli stati quantistici.
Allora possiamo immaginare la “Identity Quantum Description” come un modello a due stadi che cerca di conciliare casualità e intenzionalità. Infatti, la casualità quantistica produce un insieme di opzioni tra cui scegliere, la coscienza poi, attraverso la volontà, seleziona una di queste opzioni. Questa selezione non è casuale, ma riflette gli obiettivi, le emozioni e le esperienze dell’individuo che nel contesto diventano “vincoli di probabilità”: schemi che incrementano o indebolisco la possibilità di una scelta. I vincoli influenzano l’attenzione, focalizzando la coscienza su determinate opzioni e ignorandone altre influenzando la ponderazione delle probabilità. La volontà non opera in un vuoto, ma è sempre influenzata da questi ultimi cercando di massimizzare le probabilità di raggiungere gli obiettivi desiderati. La volontà inoltre può anche agire per modificare i vincoli. Ad esempio, attraverso la riflessione, l’introspezione, l’autoeducazione e l’esercizio intellettuale una persona può modificare i propri schemi mentali e le proprie abitudini.
La volontà rimane al centro come coscienza che orienta il processo, trasformando l’indeterminazione in un atto deliberato. Ad esempio, la decisione di aiutare un amico potrebbe essere influenzata non solo dall’intenzionalità immediata, ma anche da un legame con esperienze passate e dinamiche relazionali.
Donald Davidson nel suo saggio Actions, Reasons, and Causes ci dice che la ragione razionalizza un’azione solo se mostra che è intelligibile alla luce delle credenze e degli atteggiamenti dell’agente; e questo può accadere solo se la ragione è anche la causa dell’azione, deve esserci pertanto una connessione causale tra il complesso di credenze e desideri dell’agente e l’azione stessa.
La volontà nasce dall’interazione tra la coscienza individuale e un sistema più ampio che dà direzione e significato alle scelte. Non crea la casualità, ma la modula, amplificando alcune possibilità a scapito di altre in base all’intenzionalità.
Immaginiamo per esempio un compositore che scrive una melodia: le note emergono casualmente (sovrapposizione), ma l’artista le seleziona e le organizza in un’opera coerente (collasso guidato dall’intenzionalità). Allo stesso modo, la volontà utilizza la casualità come uno strumento, mantenendo l’individuo responsabile delle sue scelte. Si supera così il determinismo (in cui tutto è predeterminato) e il puro indeterminismo (in cui tutto è casuale).
L’idea di una volontà “orientata” dalla coscienza fu già presentata da Marco Fabio Quintiliano nella sua “Institutio Oratoria” come un processo educativo continuo, in cui l’individuo impara a controllare i propri impulsi e a dirigere le proprie azioni verso il bene grazie allo studio continuo. Così come per Epitteto, la volontà è l’unica cosa che dipende interamente a differenza de “il corpo, i nostri possedimenti, le opinioni che gli altri hanno di noi, le cariche pubbliche”.
Essa inoltre è una proprietà emergente, tipica dei sistemi complessi, in cui le interazioni tra componenti semplici generano comportamenti collettivi imprevedibili, che non possono essere spiegati analizzando singolarmente le parti. Un esempio è l’esercito: ogni soldato segue regole elementari, ma l’esercito nel suo complesso sviluppa strategie elaborate. Allo stesso modo, non risiede in un singolo neurone o in un evento quantistico isolato, ma risulta dalla rete intricata di processi quantistici e neurologici che interagiscono continuamente. È una caratteristica del sistema nel suo insieme, non riducibile a un elemento isolato.
Il cervello, con i suoi miliardi di neuroni interconnessi, rappresenta un sistema di ordine e complessità. Le reti neurali elaborano informazioni, creano schemi e strutturano pensieri, emozioni e decisioni. Questo ordine non è statico: è plastico, capace di adattarsi e apprendere. L’ordine neurologico fornisce la struttura, i binari su cui si muove la volontà, mentre la casualità quantistica apre possibilità impreviste. La volontà diventa una proprietà sistemica, il risultato della sinergia tra indeterminazione quantistica e struttura neurologica, emerge dall’interazione continua tra questi due livelli. La casualità offre lo spazio per la novità e l’imprevedibilità, mentre l’ordine dà coerenza e direzione. In questo senso, la volontà è più della somma delle sue parti: è un fenomeno che riflette la complessità dell’intero sistema mente-corpo.
Essa è radicata nei processi fisici ma non è riducibile ad essi. Nell’intenzionalità c’è la chiave di volta perché la coscienza non è un mero osservatore passivo ma è capace di dirigere il pensiero e l’azione verso un obiettivo. Questa intenzionalità è ciò che permette alla coscienza di interagire in modo significativo con il regno quantistico. La coscienza non crea la casualità quantistica, ma la utilizza e la modula. Agisce come un “filtro”, selezionando e potenziando alcune possibilità a scapito di altre in base all’intenzionalità, ai valori, alle emozioni e alla storia dell’individuo.
L’atto di decidere è “guidato dalla coscienza”, in cui l’intenzionalità e l’identità personale giocano un ruolo determinante nella selezione di uno stato definito da una sovrapposizione di possibilità.
La coscienza non “crea” la realtà dal nulla, ma è parte integrante di essa, contribuendo attivamente alla sua continua evoluzione e manifestazione. È una partecipante attiva e cruciale in un processo dinamico e interconnesso. Non crea leggi fisiche ma influenza la manifestazione della realtà fenomenica, in particolare nel dominio delle scelte, delle azioni e dell’esperienza individuale. Essa, ci dice Alfred North Whitehead, “illumina il processo, rendendo esplicito ciò che è implicito nel sentire.”
È utile allora distinguere tra due livelli che tra loro interagiscono:
1) quello quantistico, delle particelle subatomiche, delle sovrapposizioni, dell’entanglement, descritto dalla meccanica quantistica su cui opera la volontà;
2) quello esperienziale che percepiamo a livello macroscopico. Il mondo degli oggetti definiti, delle esperienze sensoriali, delle scelte consapevoli, della vita quotidiana.
Non si pone tanto la questione ontologica se la coscienza crei l’universo “dal nulla”, quanto piuttosto come la coscienza “interagisce” con la realtà quantistica per generare la nostra esperienza del mondo e la nostra capacità di scelta.
La realtà quantistica è il regno delle potenzialità, e la coscienza, attraverso l’osservazione e l’intenzionalità, gioca un ruolo nel determinare quali di queste potenzialità si attualizzano nel mondo che sperimentiamo.
Ma se la casualità è il punto di partenza, quanto controllo reale ha la coscienza sul risultato finale? Se le possibilità iniziali sono indeterminate, la selezione cosciente corre il rischio di essere un’illusione di controllo su un processo che, alla base, sfugge alla determinazione. Critici verso queste teorie, come Patricia Churchland, obiettano che una scelta “guidata” da un ventaglio casuale non sia autenticamente voluta, ma piuttosto che essa sia una reazione a eventi aleatori fuori dal nostro dominio. Una risposta possibile ma non esaustiva è che la volontà non è un prodotto passivo della casualità, ma una forza razionale attiva che discrimina tra le varie possibilità.
Il libero arbitrio nasce dall’interazione tra la casualità della fisica quantistica e la capacità della coscienza di scegliere. A livello microscopico, il cervello genera opzioni indeterminate ed infinite. La coscienza volontariamente seleziona una di queste opzioni, trasformandola in una decisione che riflette identità della persona e il contesto. Non è né puro caso né destino fisso, ma un processo creativo libero in cui siamo responsabili delle nostre scelte.
Un’analogia utile è quella di un agricoltore che getta in campo vari tipi di semi (casualità) e poi coltiva solo alcune delle piante che nascono, selezionandole in base al suo gusto e alle condizioni del terreno (intenzionalità). Anche se i semi iniziali sono distribuiti a caso, il risultato finale riflette la volontà del contadino e non il puro caso. In definitiva la casualità fornisce solo uno spazio di possibilità, mentre la coscienza esercita un ruolo creativo e selettivo.
Il libero arbitrio è la capacità della coscienza di selezionare tra infinite possibilità casuali attraverso la volontà (l’espressione razionale della identità personale) all’interno di un campo di imprevedibilità. Sostiene Alessandro di Afrodisia nel De fato, dedicato agli imperatori Settimio Severo e Caracalla, “se tutto accadesse per necessità, non ci sarebbe né lode né biasimo, né scelta né deliberazione; ma poiché gli uomini agiscono liberamente, è giusto attribuire loro responsabilità per le loro azioni”. E Daniel Dennett in Elbow Room: The Varieties of Free Will Worth Wanting: “Essere liberi non significa sfuggire alla causalità, ma essere il tipo di creatura le cui azioni possono essere spiegate in termini di ragioni, e che può quindi essere lodata o biasimata per ciò che fa.”
di Antonino Sala