L’inutilità spirituale di un Papa occidentale

martedì 25 febbraio 2025


Mentre le condizioni di salute del Papa continuano a restare critiche e un paio di volte al giorno si aspetta con trepidazione la diffusione dei bollettini medici, il pre-conclave si è messo in moto. Anzi, i pre-conclave sono due: quello che si fa sui media, tra giornali e social network, e quello ben più cupo che si prospetta tra le mura vaticane (e fuori). Negli ultimi giorni ho letto quasi sempre gli stessi nomi: Zuppi, Parolin, Pizzaballa per l’Italia, il filippino ratzingeriano Tagle per l’area asiatica, il conservatore Sarah dalla Guinea. Molto consistente, almeno in termini numerici, il blocco americano, che conta una ventina di eminenze. Lo stesso Bergoglio era dato per papabile nel 2005 (difatti, a pochi scrutini dall’elezione, fece convergere i suoi voti sul tedesco), ma il suo nome circolava in modo meno convincente nel 2013. Come si dice, chi entra Papa esce cardinale: spero proprio che sia così anche questa volta. Anche se non si dovrebbe cadere nella tentazione pericolosa − ben rappresentata proprio nel film Conclave − di far passare i progressisti pro-immigrazione e arcobaleno per buoni, e i tradizionalisti per reazionari e oscurantisti, si percepisce una certa preoccupazione (soprattutto in area progressista e moderata, che sembra essere quella più copiosa) per l’eventuale elezione di un africano, che sappiamo bene essere allineati su posizioni conservatrici.

Come ho già detto, sarebbe utile la ricerca di una figura di mediazione, che riesca a gestire le ansie pastorali, gli scandali, il delicato stallo diplomatico e le prospettive economiche e materiali della Chiesa Cattolica. Ma serve, soprattutto in questo tempo di deriva e profonda crisi spirituale, un pontefice che sia profondamente legato al sacro, alla trascendenza. Sebbene anche nell’area occidentale ci sia qualche cardinale non propriamente definibile come un faro di progresso (penso allo statunitense Burke), i porporati che hanno maggiore carisma e tensione spirituale provengono dall’Africa e dall’Asia. È un dato di fatto che lo spazio occidentale sia spiritualmente scaduto (esclusi i gruppi carismatici − che spaventano molti – ovvero i musulmani e, ovviamente, i conservatori) e che la trascendenza non sia più una priorità per chi vive in società turbo-progressiste e capitaliste. La Chiesa Cattolica occidentale che, ripeto, può contare comunque su sacche di soggetti spiritualmente attivi (soggetti che spesso hanno posizioni piuttosto dure su immigrazione e temi etici) è più interessata a sbandierare la caducità del sacro e l’attaccamento morboso all’esistenza terrena. Sembra che non vi sia più spazio per il sacro in questa economia dello scetticismo. Durante la pandemia da Covid le chiese europee e americane si sono trasformate in templi della paura. Con il pretesto delle ordinanze e del controllo, si è tolta l’acqua santa per mettere l’amuchina. Si sono sostituite le strette di mano con inchini patetici; tutt’altra atmosfera, invece, nelle comunità africane, indiane e filippine. Sarà che in quelle realtà c’è più confidenza con le malattie virali e la morte fa meno effetto che da noi: la paura escatologica della pandemia non ha estinto la sacralità della liturgia e le chiese non si sono trasformate in depositi di guanti e mascherine.

L’elezione di un Papa proveniente da un contesto spiritualmente povero come quello occidentale rappresenterebbe quasi sicuramente il colpo di grazia al fragile ecosistema spirituale della Chiesa Cattolica attuale, che sembra più preoccupata ad anestetizzare il tema della morte per esaltare le questioni politiche tanto care ai progressisti, che pensavano di trovare in Bergoglio un rivoluzionario e che, a distanza di dodici anni dalla sua elezioni, si ritrovano ancora all’impianto dottrinale lasciato da Benedetto XVI. Sebbene il pontificato non si regga unicamente sulla componente spirituale, e che in questo momento storico c’è la necessità di una figura che sia pastore e diplomatico, non si può non pensare agli effetti nefasti che porterebbe l’elezione di una persona priva di polso spirituale. I nomi che circolano possono anche andare bene nella prospettiva di un ruolo del Vaticano nelle vicende belliche (ricordiamo le gravi uscite di Bergoglio sulla Russia), ma se si limita un governo pontificale a quest’aspetto tanto vale non eleggere nessun Papa e mandare il cardinal Parolin alle trattative (sempre che lo facciano partecipare). Oltre a dover fare i conti con il problema ancora irrisolto (e mai risolvibile) della pedofilia, oltre a dover impostare una dottrina che non si lasci sedurre dalle banalità ideologiche, oltre a dover garantire soluzioni efficaci per contrastare la crisi economica dello Stato petrino, il prossimo Papa dovrà ristabilire il baricentro spirituale di una Chiesa alla deriva, smarrita, che sopravvive spiritualmente soltanto grazie a qualche gruppo marginale. C’è anche il rischio che un pontefice africano possa avere ancora più influenza di Bergoglio sul tema dell’immigrazione, ma mi sottraggo volentieri al pessimismo e spero che il nuovo pontefice non continui sulla linea di voler trasformare la Chiesa in una cappella mobile di qualche organizzazione che scorrazza nel Mediterraneo. Sarebbe perfetto un uomo che abbia il rigore diplomatico di Pacelli, il carisma pastorale di Giovanni XXIII e la spiritualità di Benedetto XVI: in questo mio desiderio ma, forse, sto peccando di ottimismo.


di Enrico Laurito