Cessi il fuoco

lunedì 24 febbraio 2025


Ci fu un momento in cui Uomini o Signori su una porta, Donne o Signore sull’altra iniziò a sembrare mancanza di fantasia. Così qualcuno osò incollare un cilindro e un cappello piumato, qualcun altro pensò che lui e lei fossero comunque un azzardo.

Pian piano il mondo è cambiato, e distinguere le porte delle toilette è diventato un’arte multimediale. Pittori, poeti, letterati, umoristi sono usciti dalla tana e hanno iniziato, dapprima timidamente, a piazzare Romei e Giuliette, cagnetti e cagnette, Topolini e Minnie, tacchi alti e tacchi bassi.

Creativi un po’ ecumenici disegnano Wo in un uscio, Men in quello accanto.

I maliziosi stilizzano pesche e banane, bulloni e dadi, intrecciano lunghi fili rendendoli vagamente fallici, mentre altri ovaleggiano senza appeal. I più rozzi non si trattengono dallo sparare balls e no balls.

Arguti, mettono alla prova la fantasia della gente schiaffando un bla su un’entrata e un bla bla bla bla bla bla sull’altra: i meno recettivi sono destinati a irrompere nei sanitari altrui, ma era un rischio calcolato. Che diviene una quasi certezza quando un piccolo ristoratore di Cascais ordisce una trappola: in piccolo, not for, in grande, Women, e, naturalmente, lo stesso per i Men. Qui le invasioni rasentano l’ottanta per cento, il ristoratore conta gli urletti e traccia statistiche.

Come sempre, effetti collaterali: esplode la Restroom art, ma i meno gioviali iniziano a covare progetti variegati fin dal primo bla. In nome di non si sa quale parità i bagni dovrebbero essere indifferenziati, o, in alternativa, moltiplicarsi a seconda del numero dei sessi immaginati dai creatori di gender infiniti.

Bagni in comune con qualche imbarazzo e forse qualche violenza non sempre soft. I pluri-gender vorrebbero occupare tutti gli spazi del locale, che diventerebbe full Wc, perché non rimarrebbe più neppure un metro per la macchina del caffè.

È vero, il mondo va avanti, ma la convivenza si dovrebbe costruisce evitando le forzature. Quello delle pubbliche latrine è un esempio che fa capire come si usi qualsiasi spunto per inventare un progresso sociale pretestuoso con il risultato di cementare le posizioni. Ci si può ancora permettere di evitare i distinguo fra le mille sfumature di omo, ma le polemiche e le richieste eccessive generano attacchi verbali nei confronti di non-etero (va bene così?) evitabili in un clima sereno.

Ma la ragione sembra essere appannaggio esclusivo di chi non accetta obiezioni al proprio assolutismo. In tutti i temi, compreso quello dei souvenir. Perché il perfetto green lgbtomizzato sembra ossessionato dall’imposizione di ogni regola che possa paralizzare la società.

La crociata di un conduttore radiofonico parte molto soft, con le cartoline che non si mandano più, ma si comprano lo stesso e si regalano come souvenir di viaggi. Informa sulle floride entrate che i ricordini, e non solo quelli di cartoncino, assicurano al belpaese. Poi, improvvisamente si rabbuia, il suo volto è molto preoccupato, lo è visibilmente, anche attraverso la radio.

Predica inventando la parabola dei souvenir sostenibili, aggettivo che, all’inizio, sembra buttato lì. Ma poi semina il terrore, non sia mai che qualcuno possa acquistare un piccolo Colosseo o una torrina di Pisa, magari di quelle che ci preannunciano il maltempo, senza chiedersi come siano state fabbricate, quali possano essere i loro impatti nella nostra vita, nell’aria, e, alla fine, parola magica, nel pianeta.

Qualcuno cambia canale, qualcun altro non immagina come si faccia a sapere se il piccolo Cupolone in offerta speciale-giubileo sia proprio green-green. Il conduttore non lo spiega, ma si esibisce in pause solenni, quelle che invitano a riflessioni profonde chi non sa nemmeno di che cosa si stia parlando.

Idea, portiamo ad amici e parenti modellini di latrine spiritose. Garantiamo la loro sostenibilità, concetto più fumoso di un sigaro cubano.

Ma cessiamo di raccontare assurdità.


di Gian Stefano Spoto