Soprintendenze, una burocrazia da eliminare?

venerdì 31 gennaio 2025


Una proposta della Lega per una riforma necessaria per sbloccare l’economia e ridare libertà ai proprietari immobiliari

La recente proposta della Lega di ridimensionare il potere delle Soprintendenze ha finalmente acceso un dibattito necessario e urgente. Il principio è semplice e liberale: eliminare il carattere vincolante del parere delle stesse in materia urbanistica e paesaggistica, a meno che non si tratti di beni di straordinario rilievo storico o monumentale. In tutti gli altri casi, la decisione finale spetterebbe ai Comuni, restituendo a cittadini e imprenditori la libertà di agire senza essere ostacolati da un apparato burocratico opprimente.

Essi, com’è noto, hanno origine nel XIX secolo, quando lo Stato unitario italiano avvertì la necessità di tutelare il patrimonio artistico e architettonico, spesso esposto a speculazioni o distruzioni indiscriminate. La prima normativa organica in materia fu la Legge Rosadi del 1909, che istituiva la tutela statale sui beni culturali, successivamente rafforzata con il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004. L’idea alla base di tali istituzioni era garantire la conservazione di opere d’arte, edifici storici e paesaggi di pregio, impedendo che decisioni locali potessero compromettere il patrimonio nazionale.

Secondo il primo firmatario dell’emendamento leghista, il deputato Gianangelo Bof, il progetto punta a introdurre una misura per “sburocratizzare e velocizzare le pratiche edilizie, evitando lungaggini che spesso paralizzano progetti di sviluppo e riqualificazione urbana”.

E come dargli torto? Il sistema attuale ha trasformato le Soprintendenze in centri di potere arbitrari, capaci di bloccare qualunque iniziativa senza alcuna responsabilità diretta. In Italia, soffocata da regolamenti e vincoli anacronistici, la riduzione del loro potere, sino alla completa soppressione, è un passo fondamentale per rilanciare l’economia e permettere alle comunità locali di decidere il proprio destino.

La reazione dell’opposizione statalista e del mondo della burocrazia, com’era prevedibile, non si è fatta attendere. Irene Manzi, capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Cultura della Camera, ha definito la proposta “un attacco frontale alla tutela del patrimonio culturale italiano”. Ovviamente non ha considerato e non considera che, in realtà, il vero attacco al patrimonio è l’immobilismo, l’impossibilità di valorizzarlo, la trasformazione delle nostre città in musei a cielo aperto privi di vitalità economica.

Le Soprintendenze, appare innegabile, soprattutto nell’attuale momento storico, non sono affatto un presidio essenziale, come sostengono i nostalgici dello statalismo: sono, al contrario, un ostacolo che frena investimenti, crea incertezza e alimenta il potere arbitrario della burocrazia. A ciò si aggiunga, l’eccesso di regolamentazione, che ha già prodotto danni enormi all’economia e impedito che il patrimonio potesse essere realmente valorizzato con progetti di riqualificazione degni di questo nome. Il che equivale a dire che non esiste cultura senza libertà, e non esiste libertà senza proprietà e diritto di disporne.

Dall’altro lato, chi sostiene la proposta evidenzia casi concreti in cui il potere di predetti enti ha portato al disastro. Vi sono esempi di progetti di riqualificazione urbana rimasti fermi per anni a causa di pareri negativi rilasciati sulla base di interpretazioni ideologiche della normativa. In alcuni casi, tali ritardi hanno avuto ripercussioni economiche devastanti per gli investitori e per le amministrazioni locali, impedendo la creazione di iniziate e di attività, di lavoro e ricchezza.

A parte ciò, non è superfluo evidenziare che l’ingerenza eccessiva delle medesime Soprintendenze non si limita alle grandi città, ma si estende anche ai piccoli borghi, dove proprietari di immobili si trovano spesso bloccati da divieti irragionevoli, perfino per interventi di manutenzione ordinaria. È assurdo che un cittadino debba attendere anni per poter restaurare la facciata della propria casa o installare un’insegna commerciale, solo perché un funzionario, senza alcun vincolo di responsabilità, decida arbitrariamente di negare il permesso.

In un Paese in cui la libertà d’impresa e il diritto di proprietà dovrebbero essere principi cardine, è inaccettabile che lo sviluppo economico venga frenato da istituzioni prive di accountability per i propri errori e inefficienze. L’Italia deve superare la logica del divieto e della burocrazia paralizzante per abbraciare una logica di valorizzazione del territorio attraverso meccanismi di mercato e iniziativa privata.

Al momento, la proposta della Lega è stata accantonata in attesa del parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma il tema resta centrale.

Se il nostro Paese vuole davvero liberarsi della stagnazione economica, deve smantellare siffatti apparati burocratici che non hanno altro scopo che perpetuare il proprio potere. La soluzione non può essere più ricercata in compromessi o timide riforme, ma in una netta abolizione dei predetti organismi e la restituzione ai privati proprietari e alla libertà di impresa del ruolo che meritano. Senza una svolta in detta direzione, l’Italia continuerà a essere ostaggio di chi antepone il controllo statale alla prosperità e al futuro delle comunità, ignorando che il mercato, non i burocrati, è il vero motore dello sviluppo.


di Sandro Scoppa