I dipendenti della Rai lasciano Viale Mazzini

martedì 28 gennaio 2025


Nessuno potrà più prendersela con i vertici del “Settimo piano” di Viale Mazzini. Non si tratta di censura. Semplicemente perché da fine gennaio non ci sarà più nessun lavoratore. Tutto il personale del mitico palazzo, realizzato nel 1965 dall’architetto Francesco Berarducci, viene spostato in parte nell’altra storica sede di Via Asiago, in parte a casa con “smart working” e il rimanente in altre sedi del gruppo radiotelevisivo di Stato. Finisce un’epoca con grave danno economico per i negozi del quartiere. Quello che non hanno voluto fare generazioni di dirigenti (Ettore Bernabei, Biagio Agnes, Willy de Luca, Claudio Cappon, Letizia Moratti, Agostino Saccà), di presidenti (Gian Piero Orsello, Enrico Manca, Roberto Zaccaria, Lucia Annunziata) con il supporto degli esponenti comunisti (Angelo Guglielmi, Alessandro Curzi, Andrea Barbato) lo stanno realizzando il Consiglio di amministrazione, con il presidente ad interim Antonio Marano in attesa del via libera a Simona Agnes come verticene e la coppia Roberto Sergio e Giampaolo Rossi, amministratore delegato e direttore generale.

La Rai cambia sede a Roma per almeno 4-5 anni a causa dell’amianto che impone una profonda ristrutturazione. Lo sapevano tutti, da almeno una cinquantina di anni, che prima o poi sarebbe scoppiato il caso dell’espansione delle fibre d’amianto che provocano la malattia chiamata da “mesotelioma”. Quando nel 1990 in occasione dei Mondiali di calcio (le famose notti magiche di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato) venne deciso lo spostamento delle redazioni giornalistiche a Saxa Rubra si pensò anche di realizzare a Cinecittà una megastruttura che sarebbe diventata la centrale italiana della radio, televisione e del cinema. Non se ne fece nulla per l’opposizione di parte dei dipendenti Rai che avevano l’abitazione nella zona nord della Capitale. Ci fu anche il tentativo di costruire un centro televisivo nell’ansa del Tevere nel tratto tra Ponte Milvio e Tor di Quinto. Questa volta si opposero gli ambientalisti contrari ad ogni cementificazione sulle sponde del fiume. Fu scelta Saxa Rubra che era dello Stato e pronta a diventare un complesso carcerario.

Il centro nevralgico della gestione Rai rimase a Viale Mazzini per decenni, con il Settimo piano diventato il “Sancta sanctorum” di tutte le operazioni politiche e programmatiche, il centro di potere di direttori di rete, manager, capistruttura che si avvalevano di circa 1.200 dipendenti, comprese le strutture dell’ufficio stampa, delle relazioni esterne e del settore legale. Montagne di carte per le scritture di attrici, attori, conduttori, registi, autori, liberatorie per falegnami, parrucchiere, sarte, truccatrici, musicisti. Salutato il Cavallo per l’allagamento del piano terra a causa della rottura dell’impianto di condizionamento si sono scoperti aumenti preoccupanti dei livelli di amianto. Contemporaneamente sono cresciuti gli attacchi e le polemiche nei confronti della gestione dell’azienda ad opera dell’Usigrai e dei soliti noti della sinistra, che tacevano quando al comando c’erano “i loro amici”.

La necessità di mettere ordine alla realizzazione e alla conduzione dei programmi ha scatenato nel sindacato, che da poco ha concluso il suo congresso a Milano Marittima, dure prese di posizione, accusando i vertici e l’amministratore delegato di aver diffuso un documento considerato “un attacco alla professione giornalistica al fine di mettere sotto stretto controllo l’informazione”. La risposta è stata molto ferma: si torna alla normalità, non permettendo che il conduttore (anche se vicedirettore) controlli sé stesso. Tutti i programmi dovranno avere un capostruttura responsabile editoriale del prodotto. Queste polemiche hanno riproposto la questione degli appalti esterni, del contratto ai precari (scelti dai partiti) per farli poi assumere in organico attraverso la cosiddetta “paritetica”, ossia l’organismo composto da Usigrai e dirigenti dell’azienda.


di Sergio Menicucci