giovedì 5 dicembre 2024
Non se ne parla più come un tempo, ma chi crede che Cosa nostra sia fuori dai giochi si sbaglia di grosso. Le ultime cronache giudiziarie raccontano un’organizzazione tutt’altro che spenta, capace di rinnovarsi e mettere a segno colpi pesanti. Ha messo le mani sul porto di Genova, snodo cruciale per il traffico internazionale, e in Lombardia spinge su un modello nuovo: il “campo largo”. Non è più solo Cosa nostra, ma un’alleanza fluida con ‘Ndrangheta e Camorra. Non una struttura piramidale, ma un sistema orizzontale, dove i grandi clan collaborano per spartirsi territori e affari. In Lombardia questa strategia ha trovato terreno fertile: l’idea di un consorzio mafioso lombardo, che fino a poco fa sembrava campata per aria, è stata confermata dal Tribunale del riesame. La mafia non è più questione di regioni, ma di confederazioni. Mentre investe su nuovi modelli organizzativi, Cosa nostra non abbandona il suo core business: la droga.
L’operazione della Dda di Palermo, condotta tra Italia, Brasile e Svizzera, ha svelato un sistema di traffici internazionali e riciclaggio che coinvolge società immobiliari, ristoranti e imprese edili. Un imprenditore originario di Bagheria, trasferitosi in Brasile, è stato arrestato insieme ad altri 17 indagati. Valore complessivo del sequestro: 50 milioni di euro. Il meccanismo è ormai collaudato: traffico di stupefacenti, riciclaggio attraverso aziende di facciata, investimenti immobiliari. Nulla viene lasciato al caso, ogni mossa è pianificata per moltiplicare i guadagni e consolidare il potere. Ne abbiamo parlato con Salvatore Calleri, consulente della Commissione parlamentare bicamerale antimafia, uno dei più stretti collaboratori del giudice Antonio Caponnetto e presidente della Fondazione che porta il nome del giudice che ha creato il primo pool per combattere contro Cosa nostra.
Cosa significa, nella sua visione, il “campo largo” delle mafie in Lombardia? Quanto è pericoloso questo modello di alleanza orizzontale tra Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra?
I clan di serie A, così li chiamo io, delle principali organizzazioni mafiose di Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra oramai in alcune zone d’Italia e in alcuni contesti internazionali sono diventati una realtà confederata. La loro struttura interna, comunque, per Cosa nostra e ‘Ndrangheta in particolare rimane sempre verticistica ma si è estesa in una ottica di collaborazione con le altre realtà. Poi vedremo gli ulteriori sviluppi dell’inchiesta Hydra della Procura di Milano diretta dal dottor Marcello Viola che sta facendo un ottimo lavoro.
La recente conquista del porto di Genova da parte di Cosa nostra rappresenta un segnale di forza o una necessità strategica per mantenere il controllo sui traffici internazionali?
Ci sono oramai sempre più segnali che ci dicono che Cosa nostra si sta di nuovo interessando al traffico di droga in modo autonomo riattivando i suoi storici canali coi narcos colombiani e brasiliani. La recente operazione della Dia di Genova che ha manifestato l’interesse di cosa nostra per il porto e l’operazione che ha toccato il Brasile in cui è stato effettuato un sequestro di 50 milioni di euro ad un clan siciliano con un giro di investimenti sul mezzo miliardo di euro ci dimostra che oggi si può tranquillamente parlare del ritorno di Cosa nostra che del tutto comunque non era mai andata via.
Come si inseriscono le nuove gang giovanili, i culti nigeriani e i narcos albanesi nella dinamica delle mafie italiane? Questi nuovi attori possono essere considerati alleati o competitori delle organizzazioni storiche?
Le mafie e i gruppi criminali tra loro interagiscono spesso collaborando ma i conflitti possono sempre essere dietro l’angolo. Quindi possono essere sia collaboranti che competitori. La collaborazione conviene ma possono capitare contrasti e far scattare pure conflitti. Quanto successo in Canada è un esempio di conflitto. In particolare le mafie italiane trovano utile spedire i soldi utilizzando il circuito clandestino cinese, ma bisogna vedere se questa cosa durerà in quanto non tutti i criminali cinesi trovano utile beccarsi l’aggravante mafiosa o addirittura l’associazione.
La cosiddetta “mafia 4.0” combina tradizione e innovazione. Come si può affrontare un’organizzazione così fluida e adattabile, senza rimanere ancorati a metodi di contrasto ormai superati?
La mafia 4.0 utilizza broker, sposta soldi con la tecnologia, è digitale e analogica al contempo. Spara ma per utilità. Investe a 360 gradi. È difficile da combattere se si rimane ancorati alle proprie tesi inamovibili su di essa. Per combatterla serve analizzarla con quella che io chiamo analisi del giorno prima. Ossia si deve prevenire la sua azione, non intervenire nel contrasto a cose fatte. Una mafia moderna nell’evoluzione, ma che rimane arcaica quando serve. È de facto un ossimoro. I riti e le tradizioni non si cancellano anche se in qualche caso si adeguano ai tempi. La mafia 4.0 si relaziona in modo dinamico con ciò che ha attorno, sia che siano gli altri clan che i criminali di strada. Nello stesso tempo oggi dobbiamo contrapporre alla mafia 4.0 una antimafia 4.0 in grado di far fare alla lotta alla mafia un salto quantico. Bisogna che l’antimafia aumenti le capacità di analisi studiando le nuove forme di criminalità, ciò è fondamentale per trovare le interconnessioni esistenti. Vanno fatti passi avanti nello studio del cybercrime e delle gang che operano nelle città. Vanno studiate le dipendenze che creano esse stesse criminalità ed intervenire per trattarle in modo adeguato.
A proposito di dipendenze si parla tanto del fentanyl (il calo dei casi di overdose negli Usa dà speranza e la diminuzione della quantità dell’oppioide nelle pillole). Cosa sta succedendo ed arriverà o no in Italia?
Alcuni anni fa dissi di stare attenti al fentanyl ed ai suoi derivati e di verificare il suo arrivo in Italia. Al momento in Italia non è arrivato come confermato dall’ultimo rapporto della Dcsa. Abbiamo avuto solo un caso di traffico di fentanyl passante per Piacenza ma diretto in Usa. Il fentanyl è in questo momento anche un problema geopolitico ed attira l’attenzione degli Usa e dell’attuale presidente neoeletto. Personalmente ritengo che le organizzazioni italiane siano prudenti nel suo traffico perché porta rogne, ma mai dire mai. La situazione va sempre monitorata in quanto i narcos messicani in Europa son presenti in Spagna e, se non erro, con un laboratorio in Olanda. Bisogna quindi seguire le varie dinamiche in atto senza innamorarsi di alcuna tesi. Vorrei concludere l’intervista con il giudice Caponnetto ci ha mandato il seguente messaggio: a testa alta e schiena dritta contro la mafia uniti nella diversità. La Fondazione Caponnetto prova a continuarne l’opera.
di Costantino Pistilli