La mina bilancio Rai creata dagli sprechi

mercoledì 30 ottobre 2024


I bilanci Rai hanno destato sempre grosse preoccupazioni. I vertici di Viale Mazzini (quasi sempre composti da esponenti cattolici, socialisti e comunisti) hanno mostrato interesse per l’aspetto ideologico e il potere culturale. Era l’ottobre del 2012 quando, con il direttore Arturo Diaconale, scoprimmo una nuova figura di giornalisti: la maggioranza dei circa 18mila professionisti si dichiarava “non ortodossamente di sinistra” ma simpatizzava. Una formula che copriva l’ipocrisia della militanza e dell’intellettuale organico. Stava iniziando a Viale Mazzini la gestione di Rai 1 da parte di Giancarlo Leone, che lasciava il vertice dell’intrattenimento e interrompeva l’egemonia dei “giornalisti democratici” che controllavano tutti i vertici degli organismi della categoria (Fnsi, Ordine, Casagit, Inpgi). Noi di Stampa romana, che guardavano l’obiettivo di migliorare il contratto soprattutto nella parte economica, venivamo sistematicamente messi in minoranza a causa del getto continuo di praticanti dei quotidiani e tivù di sinistra.

In Rai, dominavano Sandro Curzi, Angelo Guglielmi, Andrea Barbato, Gad Lerner, Michele Santoro (ex direttore della Voce della Campania, organo del Pci, approdato al Tg3), il vignettista Vauro, Corradino Mineo (ex Manifesto, in Sicilia), Roberto Morrione, Beppe Giulietti (segretario, presidente dell’Usigrai e della Fnsi, Articolo uno), Santo Della Volpe (presidente Fnsi), dopo Sergio Borsi, Gabriele Cescutti, Luciano Ceschia. Michele Santoro aveva all’epoca di Anno zero e della trasmissione Tempo reale due allievi prediletti: Sandro Ruotolo, vicedirettore di Rai 3 (oggi europarlamentare campano e portavoce del Partito democratico) e Corrado Formigli (oggi conduttore di Piazzapulita, su La7, che prese il posto di Servizio pubblico proveniente da Paese sera, poi Rai, Mediaset con Moby Dick di Santoro e, quando nel 2000 torna in Rai, diventa inviato per Raggio verde di Rai 2, chiuso Sciuscià passa a Sky 24 diretto da Emilio Carelli e dal 2023 è editorialista del quotidiano di Carlo De Benedetti, Domani).

Altri due giornalisti d’inchiesta di Rai 3 sono il pensionato Riccardo Iacona (con un cachet personale dal 2023 al 2026 di 660mila euro), con Presa diretta e Sigfrido Ranucci, con Report (che ha un contratto da 180mila euro annui ossia 6.430 euro a puntata). A rafforzare gli attacchi al Governo sulla richiesta di tagli da parte della Rai è intervenuto il nuovo consigliere di Amministrazione Roberto Natale, ex leader dell’Usigrai e della Fnsi, secondo il quale l’ipotesi avanzata dall’azionista di maggioranza, il ministro Giancarlo Giorgetti “è un intervento del Governo a gamba tesa”. Natale dovrebbe vedere, nel suo nuovo ruolo, i troppi appalti esterni, come la trasmissione di Rai 3 del giornalista Peter Gomez, direttore del Fatto quotidiano, realizzata dalla società di produzione Loft vicina anche a Marco Travaglio.

La mina sul bilancio sta causando il ripristino a 90 euro l’anno il canone dai 70 attuali, a condizione però che nel 2026 le uscite dovranno essere tagliate del 2 e del 4 per cento nel 2027. Nel 2024 il canone era stato ridotto ma lo Stato era stato costretto a effettuare un contributo di 430 milioni, per cui le risorse sono rimaste invariate, intorno ai 2 miliardi di euro, a cui aggiungere i proventi della pubblicità. Le criticità Rai sono tre: costa troppo e vanta organici gonfiati di 12mila dipendenti (il costo in bilancio è di circa 960 milioni). Troppe trasmissioni sono gestite dai vari conduttori senza controlli reali sui budget preventivi. Il piano industriale legato alla convenzione con lo Stato (potenziamento tecnologico, ammodernamento degli strumenti di ripresa e produzione satellitare) non presenta un preciso cronoprogramma per affrontare le sfide future.


di Sergio Menicucci