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giovedì 24 ottobre 2024


Oggi parliamo del bonus di 100 euro per Natale.

La notizia è che per Natale, caro lavoratore o cara lavoratrice, dovrai spiegare al tuo datore di lavoro se stai con una nuova persona, se dorme da te o no, in cambio di cento euro. Spieghiamo.

Tecnicamente si tratta dell’articolo 2bis del decreto-legge 9 agosto 2024, numero 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2024, numero 143.

Spero, dopo questo riferimento normativo, che continuerai a leggere.

La norma tratta di “un’indennità di importo pari a 100 euro (di seguito detto anche bonus), rapportata al periodo di lavoro, a favore dei lavoratori dipendenti che si trovano in particolari condizioni economiche e familiari, individuati sulla base di specifici criteri”.

I presupposti per avere diritto al beneficio, secondo la norma sono: prevedere nello stesso 2024 un reddito complessivo di 28mila euro, compresi redditi diversi e compresi quelli assoggettati a cedolare secca; mance, per chi fa lavori a contatto col pubblico; premi di produzione anche futuri; il reddito dell’abitazione nella quale si vive, se di proprietà; avere un coniuge e almeno un figlio a carico o anche solo un figlio se famiglia monogenitoriale; un’imposta da pagare superiore a cento euro per giustificare la detrazione di cento euro.

Il bonus non potrà essere ottenuto dai redditi “assimilati” al rapporto di lavoro. In sostanza, fuori le partite Iva, anche se non hanno alcuna tutela e solo doveri.

Il bonus di cento euro deve essere parametrato alle ore effettivamente lavorate. Pertanto, meno hai lavorato, meno prendi. Il calcolo va fatto in giorni lavorativi, non ore lavorate, presso tutti i datori di lavoro dell’anno 2024.

Ma il bello arriva adesso.

Se il lavoratore è monogenitoriale, avrà diritto al bonus solo se l’altro genitore è deceduto, se l’altro genitore non ha riconosciuto il figlio, se il figlio è stato adottato. Se invece il monogenitore convive con un’altra persona, il bonus non spetta perché il figlio non è effettivamente monogenitoriale. Insomma, il datore di lavoro deve fare un’indagine per sapere se il dipendente monogenitoriale ha storie in corso e se ospita il compagno o la compagna in casa.

Per un bonus di massimo cento euro, gli uffici paghe o i consulenti del lavoro devono assumere informazioni sulla vita privata dei dipendenti dell’impresa. Lo stesso obbligo lo ha anche la famiglia che abbia una colf.

Il dialogo dovrebbe essere più o meno di questo tenore: “Signora Maria, può dirmi cortesemente se il suo amico Pippo vive con lei? E chi altro vive a casa con lei? Ma suo figlio di chi è figlio? Per caso ha una fidanzata e non un fidanzato? Mica la giudico, però devo saperlo perché, se non mi risponde, non posso darle cento euro che lo Stato ha previsto. Che vuol dire che sono affari suoi? Ma lei pensa davvero di poter fare come vuole? Che significa che lei ha diritto alla privacy? L’Agenzia delle Entrate non sa cosa sia la privacy e siccome io per questo bonus sostituisco loro, mi deve dire tutto, se no, niente cento euro”.

Da pazzi. Roba da polizia morale. Per un bonus che vale forse un terzo di spesa per il Natale.

In ogni caso, il datore di lavoro potrà controllare se il lavoratore ha diritto alla prestazione solo dopo aver erogato la prestazione per conto dello Stato e non prima. Quindi a gennaio e non a dicembre.

In questi giorni la polizia italiana è stata accusata dal Consiglio d’Europa di fare profilazioni sui sospettati. Bene: qui abbiamo una norma che richiede per circolare ministeriale la profilazione dei dipendenti a cura dei datori di lavoro, in sostituzione dell’amministrazione fiscale.

Questo modo di pensare le norme è criminale e criminogeno. Questo metodo per spendere i soldi pubblici con assurde partite di giro tra contribuenti e percettori di bonus costa ore di lavoro ai consulenti delle paghe e agli uffici d’impresa e alle famiglie e anche alle amministrazioni. Costerebbe meno far pagare cento euro in meno di tasse a tutti, piuttosto che avere a che fare con questa procedura kafkiana incostituzionale e lesiva di qualsiasi trattato internazionale l’Italia abbia firmato.

In astratto, le informazioni riservate, un giorno, potrebbero servire per licenziare un lavoratore per il suo stile di vita. Se fossimo un giorno invasi dai russi o dagli iraniani, potrebbero gettare sul lastrico o impiccare gli interessati al bonus, per violazione della loro idea di famiglia tradizionale. Basterebbe che abbiano in mano uno statino paga per condannare per moralità deviata chiunque non piaccia loro.

La garanzia della veridicità della condizione affettiva deve essere data da un consulente del lavoro, da un ufficio paghe, da un datore di lavoro.

A naso, questa è materia per l’Autorità Garante dei dati personali che evidentemente ormai non si cura più di queste bazzecole.

In conclusione, non voglio essere nei panni di un consulente del lavoro. E nemmeno del Garante della Privacy. A dirla tutta, nemmeno del funzionario che ha dovuto scrivere una circolare tanto assurda per dare applicazione a una norma bonus folle.


di Claudio Mec Melchiorre