Scontri e violenza sotto la Lanterna

giovedì 26 settembre 2024


Genova ieri ha ospitato il teatro degli imbecilli, a torto chiamati “tifosi” e “ultrà” delle squadre di calcio Genoa e Sampdoria.

Da sempre il calcio raccoglie persone disconnesse, bastoni, tirapugni, coltelli e bottiglie da scagliare contro chiunque e qualsiasi cosa. Il calcio è la sintesi del nostro peggio, è il simbolo dell’impotenza contro i violenti e bambini di quarant’anni. Dico bambini, ma qui siamo al di sotto dei comportamenti umani, dato che uno dei motivi della guerriglia era la sottrazione di striscioni e bandiere doriane da parte dei genoani.

Già nella mattina la polizia aveva sequestrato bastoni e altri ammennicoli alla Meglio gioventù genovese. In realtà è da un anno che le due frange si confrontano, fingendo di essere combattenti jihadisti o considerandosi eroi alla Achille – di cui forse ricordano il nome per il film con Brad Pitt, mica hanno letto l’Iliade in greco antico. Un anno fa ci fu una rissa in un bar, con un genoano accoltellato. Poi una serie di bambinerie che manco nell’asilo di piccole amebe potrebbero svolgersi. Di cosa parlo? Di infantilismo acuto, di problemi cognitivi o di disconnessione permanente: dopo l’accoltellamento del genoano di cui sopra, la vendetta si consumò tremenda: un assalto alla sede di un club sampdoriano, dal quale vennero asportate bandiere e altri oggetti (chiamasi furto, ma nel calcio tutto è permesso).

Il bello è che tra le due congreghe – da sempre nemiche come cani e gatti, Guelfi e Ghibellini – c’è stata una convergenza di entrambe le tifoserie/tanfoserìe: l’odio per le Forze dell’ordine (non) costituito che, impotenti per legge, hanno avuto alcuni feriti.

Nell’ultima settimana, altre azioni eroiche di fronte alle quali impallidiscono le gesta di Ercole, Enrico Toti, Sansone, Gandhi, etc.. Parliamo degli strappi e fregacci di alcuni murales che ritraevano Fabrizio De André e Gianluca Signorini.

La partita, prevista per le ore 18, è stata rinviata alle 21, mentre in città bruciavano cassonetti e gli scontri con la polizia erano degni di una tribù di abelinati. La partita è poi cominciata alle 21, ma la vera partita si svolgeva sulle tribune dello stadio Luigi Ferraris a Marassi e nelle strade vicine. Poi altre botte e botti fino alle due di notte tra un mezzo migliaio di contrapposti miliziani. Idranti, lacrimogeni invano cercavano di fermare la Invincible Armada dei calciofili che si prendevano a calci manco fossero Erling Haaland o Kylian Mbappé.

Sarà bene spiegare a chi non bazzica la lingua genovese il significato della parola “abelinato”. Forse l’etimo deriva da divinità “falliche” come Baal o Belo, di origine fenicia, o dal Belenos dei Celti. Anteponendo la lettera A, che negativizza ciò che segue, prima di “Belin”, e poi postponendo la parola “nato” otteniamo la parola “abelinato”, usata come lieve insulto in Liguria, la quale quindi indicherebbe una persona “nata senza fallo” (intendendo come “fallo” quanto i maschi hanno tra le gambe). Insomma, per terminarla coi termini maschilisti, “abelinato” equivale a “incapace”, “stupido”.

I “tifosi” feriti sono stati almeno quindici (ma è lecito pensare che siano molti di più quelli che non sono ricorsi a cure mediche per timore di essere schedati. Ferito anche un ufficiale di polizia).

A tutela delle persone normali dirò che, se fossimo una nazione dalle regole certe, che applichi un minimo di controllo e sicurezza, allora lo stadio Marassi dovrebbe ospitare solo partite a porte chiuse da qui a fine 2024, e alle due “tifoserie” dovrebbero essere vietati gli accessi agli stadi delle altre città dove Sampdoria e Genoa andranno a giocare nei prossimi tre mesi. Se...

Aggiungo infine che – a un mese dalle elezioni regionali liguri – c’è un clima politico tale da influire sulla siccità mentale di chi ama caos e violenza. Anche per questo il Prefetto dovrebbe intervenire con fermezza contro i violenti, evitando che altri giovani cadano nell’illusione di diventare eroi menando i tifosi dell’altra parte e la polizia. Non c’è pace sotto gli ulivi liguri.


di Paolo Della Sala