Sconforto per la politica, ripugnanza per l’informazione, disincanto per la giustizia

venerdì 20 settembre 2024


Un Paese si caratterizza come libera comunità, quando una maggioranza, pur sbagliando per alcuni aspetti, governa con onore sul comune destino, quando un’opposizione la contrasta con dignità, quando una magistratura, indipendente dalle prime due, opera con lungimiranti visioni, quando l’informazione è avvertita come amichevole supporto indipendentemente dalle, pur necessarie, divisioni politiche. Naturalmente, stiamo parlando di Utopia, non della nostra quotidianità, stiamo parlando di Stati e società ideali, di Lao Tzu, della Repubblica di Platone, di CristoTomaso Moro con i suoi abitanti utopiani, di Tommaso CampanellaErasmo da Rotterdam, Karl Marx, Friedrich Engels, Vilfredo ParetoGaetano Mosca, Nicola Sacco Bartolomeo Vanzetti con il loro testamento, di Giorgio Gaber e Fabrizio De André: proseguire equivarrebbe all’inutile.

Abbiamo esagerato con la filosofia, la religione, la politica, due disgraziati e due artisti, non a caso intersecando visioni del mondo e concezioni di vita opposte o divaricanti, in tutti i casi pensatori, dal V secolo avanti Cristo alla contemporaneità. Già, pensatori, il cui solo pensarli induce a sensazioni olistiche a riflessioni, quanto mai lontane dalle nostre quotidiane dicotomie politiche, accompagnate dallo scadimento dell’informazione e da un nichilismo giudiziario. Pensarli dovrebbe agevolare la nostra intelligente disponibilità ad interpretare la politica come dialettica, come critica alle ragioni delle controparti, se si vuole come capacità d’apprendimento culturale, aperture che consentono, a noi che professiamo liberalismo, d’inchinarci innanzi alla pulita anarchia di Sacco e Vanzetti, di ammirare l’ultima lettera al figlio Dante Sacco e Joan Baez che canta la loro Ballata.

Altro che le estenuanti, spesso sterili, contrapposizioni apolitiche, a-culturali, a-ideologiche. Insomma, il controbattere su tutto e contemporaneamente sul nulla. Non senza difficoltà, ci spostiamo dallutopia alla distopia, società incattivite, in cui, in nome degli interessi generali e del bene comune, accantonando l’esteso e accattivante armamentario retorico, si affrontano, armati di falso buonismo e vera perfidia, modeste entità, queste sì d’interesse, per il controllo della macchina statale e del localismo politico. Esemplare il caso del ministro Gennaro Sangiuliano, nato come storia sentimentale e sviluppatosi come affare di Stato, fra poco, al pari di quello di Alfred Dreyfus. A nostro avviso, un politico che non avverte e non comprende minimante che si accompagna con una personalità disturbata da un ossessionante necessità di conquista della notorietà, lo si può connaturare come Sprovveduto? Certamente, due volte, come uomo e come politico, per la prima non è nostra competenza né interesse entrarvi in merito. Come politico, una sciagura per sé e per la compagine governativa, tutti siamo liberi di accompagnarci con chi ci pare ma, altrettanto, non lo siamo nel coinvolgere semisconosciuti in attività in cui siamo responsabili verso altri e, come in questo caso, verso la Nazione.

L’ingenuità del credulone trova poi la superba esaltazione nell’intervista al Tg1 condotta dal direttore Gian Marco Chioccidi cui si ricorda l’insignificante conversazione con Papa Francesco a cui chiese, tra l’altro, di Pelé e della giovane fidanzata. L’intervista al ministro, del tutto fuori luogo, ha avuto l’effetto di trasformare una vicenda privata in un plateale gossip per la destra e in una golosa opportunità per l’opposizione. Una traversia particolare proposta in una fascia oraria ad ascoltatori, si presume, interessati ad una solida e rigorosa informazione. Allora comprendiamo anche l’incessante perdita di spettatori per i telegiornali Rai e Mediaset; infatti il Tg1, solo negli ultimi mesi ha perso centinaia di migliaia di ascoltatori e ancor più il Tg2, che ha subito una diminuzione del 15 per cento. Risultati dovuti al Telemeloni?

Se così fosse saremmo all’autolesionismo, che pure avvertiamo, ma nella selezione del management Rai capace di offrire una modesta informazione, non al di là di 15 minuti, occupando i restanti con artisti, gossip, sport e così via. Di fatto da quell’intervista è scaturita l’esplosione mediatica della conoscente del ministro. La notorietà nazionale è stata raggiunta, dopo tanti sacrifici e privazioni, un gran personaggio è penetrato anche nel dibattito politico tenendolo sulla corda con allusioni, prossime verità, colpevolezze certe e coinvolgimenti politici. Insomma con larmamentario classico di chi non ha niente da dire ma tanto da farsi ammirare.

Noi ci fermiamo qui non essendo interessati a soffermarci sul nulla e, ancor più, a non partecipare alla nascita di un personaggio in cerca d’autore. Possibile parto nei pressi del quale si è affollata la politica e l’informazione. La prima, nella versione maggioranza, con puerili e sconclusionati comportamenti è sembrata avallare un’inesistente temibilità, dimissioni del ministro, respinte ed accettate, l’affrettata e furtiva nomina del successore che, al di là delle sue competenze culturali, lo si ricorda per le partecipazioni a programmi politici, quasi sempre monopolio dell’opposizione, per conduzione e partecipanti amichevoli, in cui il neo ministro finiva ad avere funzione da foglia di fico. Poi, per la presidente del Consiglio il lasciarsi coinvolgere in una polemica con l’innominata non ha giovato affatto al suo status.

In altri tempi l’incidente non avrebbe avuto nocumento per l’ambito politico, ma questa è stata occasione per evidenziare la fragilità di un collegio ministeriale che vede al suo interno diffuse e rilevanti criticità. E qui, consistente è la responsabilità della presidente nella scelta dei ministri, e quindi della composizione del suo Consiglio. Più accorta è stata l’opposizione, veloce nello scaricare sul ministro pesanti responsabilità, non ultima quella del rischio che la sua accompagnatrice possa essere venuta a conoscenza di documenti riservati e segreti di Stato, relativi al G7 della cultura in programma a Napoli il 20 e 21 settembre. Un’opposizione attenta, forse, ha rapidamente realizzato il ritorno alla serietà, riflettendo “sulle G” con i vari successivi “numeri”. Si tratta, quasi sempre, di passerelle a favor di pubblico e d’informazione.

Se c’è qualcosa da decidere, il tutto è stato già approntato dagli sherpa, poi figuriamoci quali possano essere i segreti di Stato per un summit sulla cultura. Chi non si è risparmiata nel portare alla luce anche il buio, pur di scovare illeciti, che pur devono esserci, del ministro dimissionario, è stata l’informazione di ogni tipo e genere. Stampa, digitale, radiotelevisione, ad personam negli esercizi pubblici e quant’altro pur di alimentare la formazione di schiere partigiane. Il meglio è stato realizzato dai canali televisivi, in particolare da La 7, sbaragliando concorrenti sulla rapidità e la quantità dell’informazione. In particolare i due giornalisti del programma In onda, ancor prima delle dimissioni del ministro, per oltre un’ora hanno intervistato la sua consulente guardandosi, accuratamente, da porre imbarazzanti domande tipo la diffida della Camera nazionale della moda all’uso di un marchio o le smentite dell’università Federico II di Napoli sulle sue docenze. Al di là delle posizioni della signora e della totale assenza di una sua scala assiologica, il nostro interesse è per i due intervistatori esprimenti felicità e soddisfazione per quello che stavano realizzando, ritenendo lo scoop, forse paragonabile, a quello dello scandalo Watergate.

Erano certi che a furia di scavare sarebbero arrivati al nocciolo, cioè al coinvolgimento anche del Governo. Ed allora avanti con un atteggiamento amichevole e mieloso, con impegno a mettere in bocca all’intervistata le proprie risposte, a tessere una trama scontata e stucchevole. Questo non è giornalismo, è agitazione, è agitprop tanto in auge nello scorso secolo. Non è solo questo, è anche ridicolaggine come quando, a commento della stessa intervista, il direttore di La Repubblica elogia l’intervistata per la sua postura, per aver espresso calma e professionalità. Da candidare, insomma, nel mondo della comunicazione. Dopo tanti elogi potrebbe assumerla come vice a Repubblica considerando che, dopo quasi cinque anni della sua direzione, le vendite quotidiane si sono ridotte a meno di 68mila.

Per le nostre tranquille coscienze il cammino verso il futuro è contorto, da affrontare con difficoltà anche per carenza di fiducia per tanti e verso tanto. Ci conforta, almeno, aver constatato che lopinione popolare, quella dei locali e dei mezzi pubblici, dei mercati e delle strade, con l’ineguagliabile sentire del popolo minuto, ha compreso che il piccione ministro avrebbe dovuto schivare il gabbiano consulente ancor prima dell’arrivo dei falchi e delle aquile.

(*) Direttore Società Libera


di Vincenzo Olita (*)