L’invidia: il veleno che blocca il progresso

martedì 10 settembre 2024


Come il risentimento sociale viene manipolato per consolidare il potere, danneggiando l’economia e la coesione sociale

“Invidia est inimica virtutis” (“L’invidia è nemica della virtù”), ha scritto Cicerone, nelle Tusculanae Disputationes, sottolineando così un aspetto essenziale di siffatta emozione universale, che ha una connotazione particolarmente negativa, è presente in molte culture ed è riflessa nei testi antichi, religiosi e filosofici. Nella dottrina cristiana, è considerata uno dei sette vizi capitali, che San Tommaso d’Aquino, nella sua Summa Theologiae, ha addirittura descritto come “tristezza per il bene altrui”, che deriva dall’orgoglio, poiché l’invidioso non può tollerare di vedere gli altri prosperare mentre lui si sente inferiore. Anche Sant’Agostino ha riflettuto sull’invidia nelle sue opere, definendola come un’emozione che non solo danneggia chi la prova, ma corrompe pure la comunità intera. A suo avviso, l’invidia è il frutto della mancanza di carità e della distorsione dell’amore: invece di desiderare il bene altrui, l’invidioso desidera la sua rovina. Nella Bibbia, poi, la stessa è descritta come la causa di numerosi mali. Il racconto di Caino e Abele nel Libro della Genesi è uno degli esempi più antichi. Caino, invidioso dell’accettazione del sacrificio di Abele da parte di Dio, uccide suo fratello. Questo episodio simboleggia l’effetto distruttivo dell’invidia, che può portare persino al fratricidio.

Comunque, da qualsiasi angolatura venga osservata, l’invidia appare come una delle forze più distruttive all’interno della società, la quale non solo avvelena le relazioni personali, ma è anche una leva potente che può essere manipolata da chi detiene il potere.

Bernard de Jouvenel, nel suo studio sulle dinamiche politiche, ha evidenziato come il risentimento di cui discutiamo possa essere trasformato in uno strumento politico per consolidare il controllo sociale. E ciò accade quando i governanti sfruttano l’acredine collettiva per giustificare iniziative che promettono di riequilibrare le disuguaglianze, ma che in realtà bloccano il progresso economico e sociale.

A sua volta, la sociologa Anne Hendershott ha analizzato con lucidità come l’invidia sia un sentimento corrosivo facilmente manipolabile a fini politici. L’idea che chi ha successo lo faccia a spese degli altri è una narrazione che molti politici alimentano. Invece di promuovere una cultura basata sull’impegno personale e sull’innovazione, si preferisce indirizzare il rancore contro coloro che hanno avuto successo. In tale contesto, la redistribuzione della ricchezza, che esprime una delle forme attuative dell’indicato malanimo, viene presentata come la soluzione alle ingiustizie sociali, nonostante finisca spesso per aggravare i problemi economici e creare divisioni profonde nella società.

Invero, com’è ampiamente dimostrato, dette politiche, pur mascherate da nobili intenti, hanno sempre avuto e hanno conseguenze disastrose. Lo spostamento forzato di risorse non fa che soffocare l’intraprendenza e l’innovazione, frenando la crescita economica. Al contrario, come hanno sottolineato i maggiori pensatori liberali, la prosperità e il progresso sociale sono generati dal libero mercato, che rappresenta un vero e proprio motore di crescita e sviluppo, laddove l’intervento statale, guidato dal desiderio di “correggere” le disuguaglianze, ne rappresenta invece un freno. Quando la ricchezza viene redistribuita non sulla base del merito o dell’efficienza, ma per soddisfare una domanda di giustizia apparente, la società perde il suo dinamismo. Le risorse vengono allocate in base a scelte politiche e burocratiche sottraendole a chi ha saputo creare valore per essere distribuite in modo inefficiente, generando stagnazione economica.

Un esempio lampante del richiamato meccanismo è il fallimento delle politiche redistributive a lungo termine. Si tratta di misure che, anziché sollevare i più poveri dalla loro condizione, tendono a perpetuare una dipendenza dai sussidi statali, privando i cittadini della spinta a migliorare la propria condizione. Chi riceve aiuti senza aver contribuito alla loro produzione, finisce per essere intrappolato in una condizione di assistenzialismo, mentre chi produce ricchezza viene disincentivato dal farlo ulteriormente a causa delle elevate tasse e regolamentazioni.

A tal proposito, Friedrich von Hayek ha avvertito dei pericoli legati all’idea di una giustizia sociale imposta dall’alto. Il tentativo di eliminare le disuguaglianze non solo è irrealizzabile, ma finisce per compromettere la libertà individuale e ridurre la coesione sociale. Allorquando lo Stato cerca di imporre una forma di eguaglianza forzata, il risultato è una società meno libera, dove l’innovazione e la produttività vengono soffocate, e dove il risentimento aumenta.

Murray Rothbard ha quindi criticato duramente la redistribuzione forzata della ricchezza, sostenendo che essa conduce inevitabilmente a una “livellazione verso il basso”. Invece di favorire la crescita e lo sviluppo, le politiche di redistribuzione abbassano il livello complessivo del benessere, riducendo le opportunità per tutti. Queste politiche creano una società in cui il merito viene penalizzato, e il successo diventa motivo di invidia e rancore.

Un altro effetto negativo delle politiche basate sull’invidia è l’aumento del potere statale. I governi che promettono di redistribuire la ricchezza per risolvere le disuguaglianze finiscono per espandere il loro controllo su tutte le sfere della vita economica e sociale. L’ espansione del potere non solo mina la libertà individuale, ma crea un sistema in cui lo Stato assume un ruolo centrale nell’economia, soffocando l’iniziativa privata e la libertà di impresa.

È pertanto evidente che le politiche redistributive non risolvono le disuguaglianze; le aggravano, creando una spirale di stagnazione economica e risentimento sociale. Gli individui sono incoraggiati a vedere la ricchezza degli altri come una sottrazione del proprio benessere, piuttosto che come un’opportunità di crescita collettiva. In tal modo, si disincentiva la creazione di nuove ricchezze e si frena lo sviluppo economico.

Il progresso, al contrario, dipende dalla libertà di iniziativa, dal merito e dall’innovazione. In una società libera, dove l’invidia non viene alimentata per fini politici, le persone possono esprimere al massimo il proprio potenziale, contribuendo alla crescita economica e al benessere comune. Solo un ambiente di libertà economica e rispetto per il merito permette a tutti di migliorare la propria condizione e di vivere in una società più prospera e giusta.

In conclusione, si può dunque sostenere che le politiche basate sull’invidia sono una trappola per la società. Alimentano il risentimento, limitano la libertà e bloccano il progresso. L’unica via per una vera prosperità è promuovere una cultura della responsabilità, del merito e della libertà individuale, dove le persone possano competere liberamente, senza essere penalizzate per il proprio successo. L’invidia, se lasciata libera di operare, continuerà a fungere da ostacolo al progresso, ma una società che rifiuta il predetto sentimento potrà aprire le porte a un futuro di maggiore benessere e libertà.


di Sandro Scoppa