venerdì 6 settembre 2024
A Jakarta una giovane donna, rigorosamente velata, ha cantato alcune sure del Corano. Il canto era per onorare l’incontro interreligioso al quale ha partecipato Papa Francesco.
L’Indonesia in questo modo spezza l’idea che il mondo musulmano si basi sulla condanna della musica e sulla segregazione femminile.
Non solo, il fatto che una ragazza canti davanti alle massime autorità religiose e ai politici indonesiani sottolinea che non siamo condannati a convivere con il terrorismo dei fanatici islamisti che vanno dagli imam iraniani al partito armato di Hamas, all’Isis, ad Al Qaida, fino agli studenti afghani e da quel pugno di Paesi che usa la religione per sottomettere con crudeltà intere popolazioni. Non dimentichiamo che in questo momento storico tutti questi soggetti sono sostenuti, in vario modo, dallo pseudo cristiano, quasi-regno di Russia. Questo dato spiega che l’oppressione è l’elemento che lega i totalitarismi che usano sovente la religione come fattore di legittimazione. Una religione violentata nei suoi principi di pace ed armonia e piegata agli interessi di dominio delle rispettive elites.
Il canto della giovane donna potrebbe essere quel tassello necessario per una storia nuova del mondo.
Papa Francesco questa volta è stato chiaro: ha condannato chi usa la religione per finalità di dominio politico.
Il suo discorso non tocca i temi della libertà e della democrazia. Questa è la grande pecca dei capi religiosi che tendono a non fidarsi del libero arbitrio tanto ben spiegato da Gesù, ma anche dalla figura di Mosè, tanto care a tutte le religioni monoteiste.
E comunque, se il capo di una religione critica la strumentalizzazione religiosa, un passo avanti è stato fatto.
Solo la scorsa settimana il Pontefice aveva protestato sulla necessità di non limitare la chiesa russa ortodossa in Ucraina. Oggi afferma che è da condannare l’uso strumentale della fede. Sembra una correzione fondamentale.
L’elemento cruciale resta quel canto di donna.
Nell’Afghanistan dei talebani le donne sono picchiate se studiano. Sono picchiate se cantano o ballano. In Indonesia invece hanno forti limitazioni, ma possono liberamente e simbolicamente cantare e leggere il libro della conoscenza musulmano. Ovviamente siamo lontani anni luce dalla nostra idea di libertà, ma l’elemento di principio dell’autonomia della donna è posto con chiarezza.
L’avanzamento dell’Islam verso la democrazia e la libertà passa dalla nostra capacità di spiegare bene i principi della Società Aperta di Popper, vale a dire i principi delle democrazie contemporanee. Non solo quei principi funzionano per garantire pace civile, ma sono perfettamente compatibili con l’idea della Umma musulmana.
La Umma è comunità di fedeli. È la versione musulmana della ecclesia cristiana. La differenza tra Islam e i cattolici sta nel fatto che i musulmani dialogano tutti direttamente con Dio. I cattolici attendono la spiegazione della parola di Dio attraverso il Papa e i sacerdoti. L’Islam sulla carta è quindi, in teoria, attrezzato per accogliere i principi di libertà e uguaglianza. Perché la transizione si realizzi dovremmo favorire un movimento culturale autenticamente libertario nel mondo musulmano. Le brutture alle quali siamo costretti ad assistere e che provengono dalle versioni estreme della religione di Maometto, dipendono dall’aver lasciato libero il campo ai totalitarismi, alcuni dei quali usano il Corano come strumento di legittimazione. Ma non illudiamoci. I capi totalitari se non hanno il Corano, usano la Chiesa ortodossa russa, il libretto di Mao, la sacralizzazione della famiglia Kim, o l’esoterismo nazista. Poco cambia.
Il viaggio in Indonesia del Papa e la bellezza del canto di donna di alcune sure del Corano sono quel breve segnale che attendevamo per fare la storia nel mondo.
Non è difficile farlo. Le basi ci sono. Ci vuole una politica culturale.
Ora i dolori. La politica culturale resta un’espressione retorica senza significato. Nelle ultime settimane è sta addirittura ancorata alla vicenda umana di un ministro. Mentre in Indonesia una ragazza cieca cantava per noi, il Papa e i fedeli musulmani, in Italia abbiamo tutti discusso degli occhiali di Maria Rosaria Boccia e del ministro Gennaro Sangiuliano. Il ministro, preso in fallo tante di quelle volte che è inutile contarle, in lacrime ha anche chiesto scusa nel corso del primo telegiornale nazionale a sua moglie, ai suoi collaboratori, al suo Presidente del Consiglio. È talmente tutto tanto ‘suo’ da far apparire noi cittadini e le istituzioni ospiti incomodi.
Stride però l’altezza del canto di una ragazza a Jakarta e l’egotismo politico, giuridico e accusatorio al quale ci siamo male abituati in Italia.
Resta il nostro compito di spiegare bene la libertà al mondo. Essa consente la convivenza di tutte le religioni che possono comunicare anche senza bisogno dei tunnel. E se hai ascoltato quel canto e ti sei accorto della sua potenza, lo sai.
di Claudio Mec Melchiorre