Parabole discendenti: “L’Espresso” e “Metro”

mercoledì 4 settembre 2024


Conti in rosso, copie in calo a meno 30mila alla settimana, incertezze nella gestione, carosello di direttori. Per bloccare la parabola discendente dell’Espresso i soci del gruppo hanno immesso 7,5 milioni di capitale per coprire le perdite accumulate negli ultimi due anni. Un tentativo di rilancio attraverso un restyling grafico, la riduzione a 31 giornalisti e lo sganciamento dalla vendita in coppia con la Repubblica che si tratteneva due terzi degli introiti di vendita. Il primo numero di settembre non è andato in edicola per lo sciopero dei giornalisti, la cui assemblea aveva sospeso la protesta di 5 giornate in attesa dei chiarimenti con la società che non sono arrivati e in occasione della sostituzione del direttore Enrico Bellavia, con Emilio Carelli, ex direttore di Sky Tg24. Dopo mesi di promesse disattese la redazione ha denunciato l’incertezza del perimetro occupazionale e la mancanza di garanzie sull’identità del periodico che aveva avuto, nei decenni trascorsi dalla sua fondazione nel 1955, un ruolo da protagonista sulla scena dell’editoria nazionale in concorrenza con Panorama.

L’attuale Espresso era stato venduto nel marzo 2022 dal gruppo Gedi (ex Carlo De Benedetti) di John Elkann alla società Bfc Media controllata dall’imprenditore napoletano Danilo Iervolino, fondatore dell’Università Pegaso e proprietario della Salernitana calcio. Nel dicembre 2023 Iervolino ha venduto la testata a Donato Ammaturo, azionista di maggioranza della società petrolifera Ludoil. In poco tempo si è assistito a una girandola di direttori: uscito Marco Damilano, passato al Fatto quotidiano e a Rai 3, venne promosso Lirio Abbate, al quale sono succeduti Alessandro Mauro Rossi, Enrico Bellavia e Emilio Carelli che fino al maggio 2024 era stato amministratore delegato del gruppo. Un percorso quello dell’Espresso sempre più in discesa con bilanci in rosso e perdita di quel prestigio che avevano realizzato Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari, per decenni, nello scenario del giornalismo d’inchiesta per favorire l’evoluzione (e i voti) della sinistra progressista e intellettuale, archiviando risultati di buona fattura e scivoloni clamorosi per alcune inchieste speculative.

Le difficoltà di navigazione sono evidenziate dall’ultimo bilancio chiuso con una perdita di 3,7 milioni di euro, anche se l’apporto della pubblicità ha compensato il calo dei ricavi delle vendite (da 87.032 a 56.141 secondo i dati dell’agenzia specializzata, a cui aggiungere gli abbonamenti tra cartaceo e digitale pari a 29.209, diminuiti dai 39.929 del 2022). Il vertice aziendale accusa “eccessivi costi fissi” ma la redazione smentisce facendo osservare che è estremamente difficile fare un prodotto di qualità con poco personale e scarsissimi collaboratori. Altra situazione precaria è quella di Metro, il primo quotidiano gratis (free press) basato solo sulla pubblicità.

A fine agosto l’editore-direttore Salvatore Puzzo ha comunicato al Cdr la messa in liquidazione della società New Media Enterprise lasciando i giornalisti senza stipendi non pagati da mesi (che erano stati già sottoposti a decurtazioni salariali) e senza il versamento dei contributi previdenziali. Anche per loro il futuro è incerto, dopo quasi 25 anni di attività e dall’acquisto della testata dalla casa madre svedese da parte dello stampatore Franco Farina. A fronte di queste criticità gli utili del gruppo Rcs (Corriere della sera leader in edicola e abbonamenti e Gazzetta dello sport) sono saliti nei primi sei mesi dell’anno a 40 milioni. Utili in salita anche per il gruppo Caltagirone del 12 per cento con ricavi a un miliardo, comprese tutte le attività (editoria, immobiliare, cemento, grandi lavori, attività finanziarie).


di Sergio Menicucci