martedì 6 agosto 2024
Come è noto a chi lo sa, organizzatori e controllori del linguaggio stabiliscono forme autoritarie senza dominio fisico immediato. Hanno scoperto, giustamente, che la parola, il linguaggio, valgono quanto una pistola; la parola distribuisce la formula, la inserisce nei comportamenti, nelle valutazioni, nei valori, non che il passato sconoscesse il fenomeno, oggi più consapevole, e si avvale di esperti del linguaggio.
Prendiamo termini usatissimi, finalizzati, abilmente, ed eversivi spesso inconsapevolmente: Empatia, Inclusione, Trans. A parte Edith Stein, Un testo sull’Empatia è stato pubblicato dal mio editore, Armando. Forse i più usano il termine non avendo lettura del volume. Ora, il significato che l’autore, Roman Krznaric, dà al termine è ben diverso da Simpatia, ciò che non suppongo rilevato, gravissimamente. Simpatia vale dire: essere attratti dall’altro, avere uno stato d’animo ben disposto all’altro. Nella Simpatia l’altro è altro, ed io mi volgo con attenzione favorevole, mi dà piacere l’altro. Ma l’Altro resta l’Altro, appunto perché Altro quale è ti è simpatico.
Empatia è tutt'altro, io sento meglio di chi sente quel che lui sente, spero di essere chiaro: io presumo di capire più dell’altro quel che lui vive, quel che lui è, io sono dentro l’altro maggiormente del soggetto medesimo, comprendo i suoi bisogni meglio di lui, io mi immetto e sostituisco l’altro in un abbraccio immedesimativo “empatico”!
Infine, io ho il dovere/diritto di intervenire sull’altro, sostituirmi nell’altro sostituendolo perché lo capisco meglio di quanto lui capisce se stesso. Spero di essere chiaro, è la formulazione coniata al meglio di annientare l’altro perché io sono talmente empatico, immedesimato da conoscere le esigenze dell’altro da meritare o essere obbligato a intervenire, indubbiamente per spirito di salvezza. Nei fatti: se un Paese vuole imporsi su un altro Paese, lo definisce causato da spirito empatico vibrante, in quanto agli individui peggio che mai, se io sento l’altro meglio dell’altro, mi sostituisco all’altro, i robot intelligenti automatizzati sostituiranno l’uomo empaticamente, sanno fare meglio dell’uomo, quindi sono empatici. In nome dell’Empatia l’individualità svanirà, tu sai meglio di me che devo fare, perché sei empatico! Ci fosse da ridere: la gente crede che empatico è significazione aggiustata di simpatico! Mentre la simpatia è andare verso l’altro favorevolmente per come l’altro è. Empatia vale come: io sono più altro di quanto l’altro è se stesso, uno spossessamento. Con le migliori intenzioni. Però...
Immaginiamo un gruppo di scienziati, hanno studiato ai vertici, hanno conquistato la loro posizione e quindi stabiliscono una loro associazione rigorosa e leale. Il primo che passa nella strada ove si riuniscono gli scienziati ha un impulso, intende far parte di tale associazione, di corsa, scalini, un portiere lo frena, gli chiede se è scienziato, dichiara che ha il titolo di “inclusione”, il portiere non lo riconosce, il signore persiste, è un incluso, botte non ne sortirono ma insulti se ne attribuirono. Al dunque: esiste o no una visione sui criteri per essere o non essere inclusi o includiamo come diritto in sé? Se dobbiamo dare un giudizio fondato vi è il diritto di inclusione e di esclusione, che significa diritto di inclusione se è inconcepibile includere tutto e tutti? Tra i diritti di inclusione vi è il permesso di uccidermi, rubarmi, operare senza titolo? E se questo viene negato come diritto, perché non dichiarare: diritto di inclusione e di esclusione? Così, per un minimo di verità e sensatezza.
Ma il vertice di questa babilonia annientativa dell’individualità tocca il nucleo dove l’individualità è rimarcata: la differenza sessuale. Ritenere che non esistono esclusivamente maschio e femmina è fondato. L’omosessualità, maschile e femminile, è antica, reale, la si può ostracizzare ma è scorretto negarla. Quindi, giusto, esistono vari modi di manifestare la propria sessualità, e una società può renderli legittimi o no. Ma quel che sta accadendo è diversissimo: si nega l’identità precisabile, ossia, dire uomo, donna, omosessuale o lesbica non sarebbe corretto; noi saremmo tutto, onnisessuali, indifferenziati, anzi, se per sventura un uomo dicesse a voce ascoltata: sono maschio e mi gradiscono le femmine, se ne ravveda, commetterebbe ingiuria grave verso chi non gradisce le femmine, quasi come a dire: mi piacciono i funghi porcini, si spregiassero i funghi chiodini. Il principio di identità secondo il quale A è A, messo da canto ma non dalla dialettica della negazione e della negazione della negazione che ignorano alla distanza ma dall’assurda idea che possa esistere alcunché senza identità! Il gioco è abilissimo. Se non esiste identità tutto è identico, l’uno vale l’altro. E così un trans (o una trans) può venir considerato uomo o donna laddove è trans. Ma poiché non vi è diritto ad “una” specifica identità, ciascuno di noi è tutto e nessuno e posso collocarlo a piacere. Hai organi maschili ma ti senti donna? Sei donna! No! Hai organi maschili e ti senti donna ma non sei donna! Il sommo rispetto per l’individualità. Del tutto legittimo un trans, una trans ma come trans. Questa sarebbe la vera conquista: essere se stessi, individualmente! Sia chiaro, un dramma, addirittura una tragedia.
Per mesi, anni, un mio amico drammaturgo mi chiamava al mattino precoce e tutto il discorso giungeva al chiudersi quando io, laboriosamente gli(le) confermavo, non so con quali sostegni, che gli uomini amoreggiavano con lui (lei) perché la consideravano una donna! Lo(la) rendevo talmente gioioso che cessava la richiesta. L’identità è l’essenza della persona cosciente.
di Antonio Saccà