giovedì 4 luglio 2024
“Le Medicine interne hanno assistito durante la pandemia il 70 per cento dei pazienti Covid, trasformandosi soprattutto durante le prime terribili ondate in veri e propri reparti di sub-intensiva. Nonostante questo, le nostre unità operative sono ancora classificate a “bassa intensità di cura”, il che significa avere una minore dotazione di personale medico e infermieristico per posto letto”. Così Francesco Dentali, presidente di Fadoi (Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti).
“Sappiamo che Agenas (Agenzia pubblica per i servizi sanitari regionali) e il Ministero della Salute stanno predisponendo un algoritmo in grado di rilevare l’effettivo bisogno di personale in base al numero e alla complessità dei ricoveri nelle singole unità operative. Un modo nuovo di definire le piante organiche – prosegue – superando l’anacronistico tetto di spesa per il personale, che resta ancora tale dopo l’aumento del 14 per cento stabilito dal recente decreto sulle liste di attesa”.
Come riportato in una nota di Fadoi, “l’emergenza nelle Medicine interne rischia poi di diventare esplosiva nel periodo estivo, quando anche gli internisti usufruiscono del meritato riposo”. Cosa che tra giugno e settembre, secondo una indagine Fadoi, “avviene per oltre il 91 per cento dei medici che usufruiscono dei 15 giorni di vacanze nel periodo estivo, come garantito dal contratto nazionale di lavoro. Questo comporta una riduzione degli organici in reparto che varia tra il 21 e il 30 per cento nel 48 per cento dei casi, tra il 30 e il 50 per cento nel 19,4 per cento dei reparti, mentre la carenza è tra l’11 e il 20 per cento in un altro 21,8 per cento dei casi. Per chi resta in servizio, il volume di lavoro aumenta nel 42,7 per cento dei casi e ciò incide “abbastanza” sull’assistenza offerta ai cittadini nel 51 per cento dei nosocomi, “molto” in un altro 15,5 per cento, “poco” nel 21,2 per cento nei reparti, “per nulla” soltanto nel 6,3 per cento”.
A risentirne nello specifico “sono poi le attività ambulatoriali, che diminuiscono le loro attività nel 52,7 per cento dei casi e chiudono del tutto in un altro 15,1 per cento degli ospedali. Il 14,1 per cento garantisce invece l’invarianza nel numero e nei tempi delle attività negli ambulatori, che sono rimodulate nei tempi ma invariate nel numero di prestazioni in un altro 18 per cento di casi”.
Se pur riducendo le attività d’estate gli ospedali non chiudono per ferie “lo si deve ai sacrifici sostenuti dai medici per coprire la carenza di personale già di per sé cronica. Ecco così che il 56,8 per cento tra giugno e settembre vede molto spesso saltare i riposi settimanali che pure dovrebbero essere sempre garantiti, mentre l’intervallo delle 11 ore di riposo giornaliero non è sempre assicurato per il 26,7 per cento dei professionisti”.
di Redazione