mercoledì 15 maggio 2024
Lo sdoganamento delle mostruosità
Ho iniziato a studiare il fenomeno social di TikTok poco più di un anno fa e, nel quotidiano confronto con ciò che questa piattaforma ospita, ho percepito da subito la sovrabbondanza di contenuti grotteschi, deliranti e talvolta patologici. Ogni giorno mi imbatto in decine e centinaia di video di nani che lottano, persone con sindrome di down che partecipano a concorsi di bellezza o si vestono da queer, obesi che mostrano la loro fisicità (dal turco Yasin Cengiz al campano Dottor Bavaro, tra l’altro celebre per il suo motto “carissimi scansafatiche” e per la sua presenza in OnlyFans), oltre a una sterminata galassia di altri soggetti, spesso con deficit mentali o altre problematiche fisiche.
In alcune aree geografiche, non necessariamente italiane, c’è da sempre una più o meno tiepida esclusione di alcune categorie, mentre in certi Paesi orientali si tende addirittura ad inglobare donne e uomini malati nel tessuto comunitario, talvolta trasformandoli in mascotte. Si passa dalla vergogna per un soggetto “diverso” a una sua completa introduzione nella vita di uno Stato o di un quartiere. Qui in mezzo, il nulla. E dal momento che l’uomo teme l’horror vacui, la paura del vuoto, si sforza di riempire ogni spazio a sua disposizione con le peggiori brutture. Nel nostro tempo, l’unico spazio che si ambisce a colmare è quello dei social, veri e proprio luoghi di nessuno, dove la presunta libertà del regolamento ci permette di mettere in mostra, e di guardare, ciò che nel mondo reale sarebbe guardato con perplessità, con commiserazione, talvolta con sdegno, quasi sempre con repulsione.
Un esempio sono i tanti ragazzi con gravi forme di ritardo che nei social si vedono a spasso con i genitori, e spesso vengono fermati per foto e video da ostentare come medaglie olimpiche. Se non puoi farti la foto con la donna cannone o il nano di Freaks, può andare bene la persona con sindrome di Down che è su TikTok. Nei commenti, poi, l’apoteosi dell’ipocrisia. Molto grotteschi i contenuti di Drag Syndrome, che mette in mostra ragazzi e ragazze con sindrome di Down che sfilato vestiti da queer (o da pagliacci, dipende dalle definizioni che personalmente diamo). Siamo passati, non si sa in quanto tempo e nemmeno in che modo, ad apprezzare la pornografia del dolore. Ci nutriamo di soggetti che fino a poco tempo fa si vedevano negli istituti del Cottolengo o nei circhi. Poco meno di cento anni fa, nel 1932, usciva Freaks di Tod Browing, cult macabro che illustrava numerosi fenomeni da baraccone impegnati, nelle loro esistenze caricaturali, a intrattenere qualche deviato voyeurista.
Se da una parte qualcuno si sforza di vedere un avvicinamento alla normalità, per alcune categorie di fatto escluse da quasi ogni occupazione o attività sociale, io piuttosto non posso che constatare la necessità di sdoganare, di normalizzare, di ostentare, ciò che in realtà è ancora non totalmente accettato. Tra i commenti ai video di un ragazzo napoletano con evidenti ritardi che spesso passeggia con il padre, molti adolescenti si dedicato a pensieri ipocriti e politicamente corretti: sono però convinto che nessuno inviterebbe queste persone alla sua glamour e instagrammabile festa di compleanno, e che se questo invece accadesse, ci si sforzerebbe di escludere la creatura dalle foto. Sai che imbarazzo, che cringe, postare su Instagram una foto di ragazzi belli, pieni di gel per capelli e profumati, con un loro coetaneo con sindrome di Down? Probabilmente, pur di apparire inclusivi, potrebbero anche far mettere in posa il compagno diverso, ma giusto per non infierire ulteriormente sulla sua condizione.
Per non parlare della sempre più frequente ostentazione dell’obesità, che potrebbe diventare un nuovo modello di vita. Se un tempo si voleva raggiungere l’eccessiva magrezza (per le donne) o il corpo palestrato (per gli uomini), per molti oggi il modello a cui ispirarsi sembra essere quello della grassezza, messa in mostra da balletti grotteschi, dove tutto deve essere ben mostrato con orgoglio. Anche qui, molto spesso, regna l’ipocrisia e l’autocommiserazione. Questi soggetti, magari tra un video dove ballano seminudi e un altro dove si mangiano qualche chilo di pizza fritta, inseriscono qualche patetica sceneggiata dove dicono che '”la società è cattiva”, oppure che hanno raggiunto quella condizione perché magari sono omosessuali e non vengono accettati (su questo tema ci viene incontro il film The Whale). Il problema di fondo, per questi attivisti del “grasso è bello '”, è la deresponsabilizzazione. È il nuovo sport che tutti posso fare.
Gettare ogni colpa sulla società, perché sono sempre gli altri a creare i problemi. Quasi mai ci si guarda dentro, quasi mai ci si sforza di guardare noi stessi come gli unici artefici dei nostri limiti. Per cui, facciamo trionfare l’ipocrisia: prendersi le proprie responsabilità è da persone forti, e chi non ci riesce – essendo debole – deve inventarsi che quella sua fragilità è causata da un generico “loro”. Questo discorso vale per gli over-size, che quasi sempre sono autonomi e possono esprimersi. Per quanto riguarda invece tutto il girone dei personaggi “agiti”, messi in mostra da parenti o amici, tutto si complica. Spesso questi soggetti non amano essere ripresi (molto interessanti sono le reazioni alla telecamera di una ragazzina cinese molto famosa, che urla e da calci a chiunque la riprenda).
Per loro, che speranza c’è? Per quale motivo si vuole infierire su queste persone? Davvero si vuole portare avanti il discorso che “tutti siamo uguali'”, e che quindi è giusto far aprire un canale TikTok a ragazzi con deficit cognitivi, che spesso vengono pesantemente presi in giro? Di questo passo, invece di emancipare queste categorie, con la speranza di inserirle concretamente nella società, non ci sarà che la creazione di due mondi paralleli: quello social, dove l’unico paradigma sarà quello dell’ipocrisia e del politicamente corretto, e quello reale, dove invece ci si sarà spazio solo per i “sani”, quelli della sterile ostentazione di un sé vuoto e insignificante.
di Enrico Laurito