mercoledì 8 maggio 2024
Nativo di Borgo Valsugana, in provincia di Trento, Monsignor Tommaso Stenico, dottore in teologia e laureato in psicologia alla “Sapienza” di Roma, è iscritto all’albo professionale dell’Ordine nazionale degli psicologi e degli psicoterapeuti del Lazio. Ha insegnato teologia sacramentale pastorale, psicologia, psicologia religiosa evolutiva e altre materie, presso l’Istituto superiore di Scienze religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense e altre importanti istituzioni. In Vaticano, dai primi anni Ottanta, ha lavorato presso la Segreteria di Stato, divenendo poi capo dell’Ufficio catechistico nella Congregazione per il clero, ed entrando inoltre nella Commissione per i casi di dispensa dagli obblighi assunti con l'ordinazione al diaconato e al presbiterato.
Come scrittore e saggista, Stenico ha pubblicato parecchi studi di cristologia, teologia generale, approfondimento pastorale, storia della Chiesa. Con Gambini editore (Attigliano, provincia di Terni, 2023), ha pubblicato recentemente 3 libri: Vale la pena sposarsi?, Credo nella famiglia e San Paolo VI, un pensiero al giorno (“è quest’ultimo mio saggio, una riflessione obbiettiva su un Papa che, succedendo al “mito” Giovanni XXIII, si è trovato di fronte due compiti immani: prima portare a termine Il Concilio Vaticano II, poi tradurre in pratica le sue decisioni”, spiega Don Tommaso. “E ho cercato di ripercorrere l’anno civile e liturgico attingendo agli insegnamenti e ai documenti principali di questo Papa, dal “Buon Anno” del 1° gennaio sino al buon termine del 31 dicembre”).
Monsignor Stenico, a chi è destinato il primo di questi suoi libri, “Vale la pena sposarsi?”?
È un libro destinato a chi si prepara a sposarsi. E la provocazione del titolo vuole essere un sasso nell’acqua, per sollevare le domande che inevitabilmente porta con sé un passo tanto importante quanto il matrimonio. Ma il libro è pensato anzitutto per il fatto che sono molto pochi, oggi, coloro che parlano di unione matrimoniale. In molti centri, anche piccoli, soprattutto del Nord-Italia, la celebrazione dei matrimoni con rito civile ha superato – anche se di poco – la celebrazione del matrimonio sacramento. Ma soprattutto, sembrano ormai diventate prassi ordinaria la convivenza e le unioni libere.
Direi però (da credente laico) che la scelta di tante giovani coppie di convivere per conoscersi meglio, decidendo solo allora se sposarsi (in Chiesa o anche solo in Comune), non è del tutto negativa: così, si può evitare l’“eccesso opposto” (tipico della società del passato, ma possibile anche oggi) di buttarsi nel matrimonio come in un’avventura, senza ancora conoscere bene il proprio partner. Secondo dati Eurispes, dal 1998 al 2018, in Italia, il tasso di separazione è aumentato da 14,4 a 43,4 su 100 matrimoni, e quello dei divorzi da 8,8 a 26,3, sempre su 100…
Sì, ma sempre le statistiche mostrano che, in quest’alta percentuale di giovani che decidono di convivere per conoscersi meglio, pochissimi, poi, fanno il “grande passo”. Perché? C’è, anzitutto il secolarismo relativistico, che sta portando la società a vivere come se Dio non ci fosse. È un fenomeno che un sociologo come lo scomparso Sabino Acquaviva, già nel 1961, focalizzava nel saggio (uscito con le olivettiane Edizioni di Comunità) “L’eclissi del sacro nella civiltà industriale”: un’analisi proseguita, poi, da altri acuti sociologi come Luca Diotallevi o Franco Ferrarotti.
Anch’io penso che la secolarizzazione assoluta della società, volta addirittura alla negazione di Dio (qualunque Dio, non solo quello cristiano), è un gravissimo male per l’uomo. Però, Monsignore, domandandoci perché il matrimonio religioso è da decenni in crisi un po’ in tutte le democrazie industriali, teniamo presenti quelli che sono anche i gravi errori, e colpe, della Chiesa cattolica, dagli scandali politico-finanziari, in collusione col potere, alla piaga della pedofilia…
Piaghe che nessuno nega, sia chiaro. Ma il discorso è più complesso. In Italia (e ancor più nelle altre democrazie industriali con popolazione in maggioranza cattolica), la fascia d’età 14-15 anni, in cui, purtroppo, gran parte dei giovani si stacca dalla Chiesa, raccoglie individui che, per la maggior parte, non credo proprio diano troppo spazio a grandi discorsi su pedofilia o scandali. Il problema di base è che la Chiesa, nella società di oggi (fatte salve alcune eccezioni di forte presenza sul territorio) è come vaporizzata, inesistente: in Italia, oltre l’85 per cento dei ragazzi frequenta il catechismo, accostandosi poi ai sacramenti: ma poi, quando a 13-14 anni ricevono la cresima (che, oggi, spesso si fa dopo la Comunione, ndr), per loro, in sostanza, si tratta di quella che io chiamo “Festa d’addio alla Chiesa”. La loro, cioè, non è tanto ostilità verso la Chiesa: si tratta (peggio, ovviamente!) di indifferenza.
In tutto questo, come non vedere l’avverarsi delle prospettive che, già addirittura nel 1958, più di 60 anni fa, Don Lorenzo Milani delineava, con timore, nel suo libro-indagine sulla Chiesa italiana “Esperienze pastorali”?
Purtroppo è così, infatti. L’indifferenza dei ragazzi alla Chiesa, poi, deriva soprattutto da una mancata educazione alla fede: ma questo chiama in causa responsabilità non solo della Chiesa, ma di tutte le “agenzie educative”, i canali di formazione e informazione dei ragazzi, dalla famiglia alla scuola. Tutti, purtroppo, in crisi, spesso incapaci (fatte salve, sempre, le sempre possibili eccezioni) di adempiere adeguatamente ai loro compiti. Per restare alla Chiesa, è chiaro che deve profondamente riformare se stessa.
Torniamo, Monsignore, alle cause della disaffezione dei giovani nei confronti del matrimonio: e, di conseguenza, anche della famiglia. Lei ne individuava un’altra?
Sì, sul piano psicologico ed etico: una assoluta “incapacità di perpetuità”. I ragazzi, oggi (ma non solo loro), non concepiscono più il concetto di “per sempre”: il loro convincimento è che si sta insieme… fin che va bene. Possiamo prenderlo come un riflesso della generale tendenza di oggi alla superficialità, al correre sempre senza quasi mai approfondire le questioni della vita: ma c’è anche una, più profonda, causa etica: la “mancanza/incapacità di sacrificio”. Il pensiero dominante è che, quando si sta male insieme, non c’è più nulla da ricercare. Perché si fatica a capirsi? Perché rinunciare a qualcosa per far spazio al partner? La via migliore, e più semplice, è quella della fuga. Questi stessi atteggiamenti caratterizzano la visione della famiglia che hanno, oggi, molti giovani.
Ecco, parliamo appunto del secondo libro di questa sua “trilogia, “Credo nella famiglia”: che, oggi, è anch’essa innegabilmente in crisi…
Il volume è una riflessione a 360 gradi sul concetto di famiglia, la quale oggi soffre di una forte crisi di capacità e autorità: resta la cellula di base della società, ma non riesce più a svolger bene il suo ruolo di agenzia di formazione e socializzazione primaria. Perché questo torni ad essere, perché la famiglia sia nuovamente capace di educare, ci vuole, alla sua base, anzitutto una coppia che sappia comunicare veramente, e rispettarsi accettando l’altro per quello che è. Capace di lavorare insieme, e sostenersi in uno straordinario gioco di empatia. Invece, sembra che i genitori (e non solo loro), oggi, siano diventati incapaci di educare. Ma i ragazzi non possono salvarsi da soli: per combattere adeguatamente pericoli come bullismo, cyberbullismo, pornografia in rete, sino, addirittura, ai femminicidi e ad altre gravi emergenze, l’unica via possibile è quella della famiglia aperta, solidale: che si fa buon samaritano, verso chi è nel bisogno e nelle difficoltà.
di Fabrizio Federici