venerdì 19 aprile 2024
Da qualche settimana il Corriere della Sera pubblica una collanina intitolata Terrorismo italiano. Sono una quarantina di volumetti, dei Bignamini non saprei dire quanto efficaci per chi queste cose, per mestiere o passione, le ha seguite e segue. Nel complesso, dicono poco o nulla rispetto a quanto già non sia stato detto e scritto. Ai profani non saprei cosa suggerire: spero solo provochino la curiosità d’approfondire. Limitarsi al bignamino non aiuta.
Per inciso: la rilegatura è buona, ma risparmiare sull’indice dei nomi… A ogni modo, li leggo alla Ettore Petrolini: un po’ per noia, un po’ per non morire. Vedi mai. Nel quarto volume della serie, dedicato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a cura di Stefano Baudino, ci sono parecchi sorvoli (il processo di Torino ai capi delle Brigate rosse per esempio). Piuttosto, giunto alle pagine 59-60, sorrido. Sono le pagine dove si rievoca il famoso incontro tra Renato Curcio, Alberto Franceschini e Mario Moretti, i big delle Br, a Pinerolo. I primi due catturati, il terzo sfugge. Silvano Girotto, alias Frate Mitra, gioca, in quell’occasione, un ruolo determinante. I carabinieri del nucleo anti-Br sono divisi: chi vuole intervenire, chi propone di aspettare per arrivare ad altri terroristi. Ci sono buone ragioni da una parte e dall’altra. Decidere spetta a Dalla Chiesa: opta per l’arresto. Perché?
“Non fu prematuro perché si trattava, intanto, di un latitante e mi sarei trovato in seria difficoltà con la magistratura se entrato in contatto con un latitante non lo avessi arrestato”, spiegherà il generale in occasione di un’audizione alla commissione Moro nel 1980. “Ho portato avanti il discorso per due mesi fingendo di non riconoscere una fotografia, una volta perché era lontano, una volta perché era di fianco, un’altra volta perché non mi sembrava uguale oppure mi sembrava troppo grasso, eccetera”, aggiungerà, facendo capire che, in tale frangente, si fosse già temporeggiato abbastanza. “A ogni modo, alla fine, quando ho ritenuto di dover intervenire, perché era un’accoppiata di un qualche rilievo, non potevo perderla”.
Baudino, di suo, sottolinea: “Anche da questo episodio si può ben comprendere la bussola che ha guidato Dalla Chiesa in quelle difficili operazioni, su cui il generale aveva la massima responsabilità: un minuzioso calcolo costi-benefici, da ricalibrare ogni giorno, a seconda delle contingenze e delle necessità, che spesso si trasformava, come lui stesso ha affermato, in spregiudicatezza”.
Dunque, Dalla Chiesa “finge”; è spregiudicato, ma al tempo stesso più che responsabile. Si assume tutto intero il carico derivante dalle sue azioni e quelle dei suoi collaboratori. Ha un rapporto fiduciario e la “libertà”, che da quel rapporto deriva, è parte della sua forza. Chissà che tra qualche anno il Corriere della Sera non vari una collanina di una quarantina di bignamini su Cosa nostra e le altre organizzazioni similmente mafiose. Chissà che non ci si imbatta in analoghi casi di “finzione” e “spregiudicatezza”, oggi da taluni non apprezzati e valutati come frutto di connivenza e complicità. Forse il filtro del tempo consentirà di valutare quegli episodi e quelle situazioni con maggiore obiettività. E senso del giusto. Chissà.
di Valter Vecellio